Al telefono la voce della madre di Emanuele Scieri è ferma, dopo lo smarrimento iniziale. La notizia datale dal procuratore di Pisa sugli sviluppi dell’inchiesta per la morte di suo figlio, trovato cadavere nella caserma Gamerra, nel centro di addestramento militare della Folgore, l’ha travolta. A caldo Isabella Guarino ha pianto lacrime di gioia e di tensione, stretta tra i propri familiari, anche loro sconvolti da una emozione incontenibile. La sorella non l’ha mollata un attimo in questa giornata attesa da così tanto tempo, vissuta nella casa di famiglia, a Noto, in continuo contatto con l’altro figlio Francesco, che ha preso le redini del padre nella ricerca di verità e giustizia. «Qui “Lele” ha trascorso la sua adolescenza, qui abbiamo ricevuto la notizia della sua morte e qui riceviamo la notizia della svolta nelle indagini», dice la signora Isabella. Per tutto il giorno ha risposto ai cronisti, ha ricevuto gli abbracci di parenti e conoscenti, si è lasciata andare con gli amici del suo caro Lele.

Signora Isabella qual è il suo stato d’animo in questo momento?
Sono emozionata, frastornata, incredula: è un insieme di sentimenti. È la prima volta che abbiamo delle risposte alle nostre domande. Diciannove anni abbiamo aspettato, ora qualcosa sta venendo a galla.

Qual è stato il suo primo pensiero dopo avere ricevuto la notizia?
Mio marito, che non c’è più. Purtroppo non ha potuto condividere con noi questo momento. Per anni, nonostante la malattia, ha cercato la verità. Abbiamo sempre saputo e detto che Emanuele non si è suicidato come hanno voluto far credere per tanti anni, ma che si trattava di “nonnismo”. Mio marito ha cercato sempre un spiraglio, tante telefonate in cerca di qualcuno che ci aiutasse. Un incubo durato a lungo, mentre si logorava per la perdita di Emanuele. Alla fine se n’è andato. Sapevo che la Procura di Pisa stava indagando e ieri mattina sono stata informata dai magistrati, ma non conosco i dettagli dell’inchiesta.

Diciannove anni per avere una svolta.
C’è tanta amarezza, quella non si può cancellare. Anni di tormento anche se non abbiamo mai smesso di cercare la verità.

Vi siete sentiti soli, abbandonati dallo Stato?
Sì, per molto tempo la nostra è stata una battaglia in solitario. Abbiamo avuto solo il sostegno dei nostri amici e di quelli di mio figlio che non si sono mai fermati e non hanno mai accettato la storia del suicidio. Alcuni politici del Pd di Siracusa in passato hanno cercato di sollevare il caso, poi la tenacia della parlamentare Sofia Amodio del Pd, che ha condotto i lavori della commissione d’inchiesta in modo professionale, ha permesso di ottenere i risultati che aspettavamo. Devo dire che anche gli altri componenti della commissione, di tutti i partiti, hanno fatto un buon lavoro.

Quando ha percepito che qualcosa stava cambiando?
Man mano che venivano fuori alcuni dettagli del lavoro della commissione d’inchiesta che ha lavorato bene e alcune notizie pubblicate su Facebook. Abbiamo avuto la certezza che le nostre intuizioni erano giuste, che quello che è accaduto nel 1999 a Emanuele era frutto di un contesto, quello del “nonnismo”. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato.

Cosa?
Nel Paese c’è un’aria di negatività, nel nostro caso però è accaduto qualcosa di positivo. La giustizia sta scrivendo una bella pagina, anche i partiti, spesso l’uno contro l’altro armati, in questo caso hanno mostrato unità d’intenti.

Dall’inchiesta emergono responsabilità di alcuni militari ed ex militari. Teme che l’indagine possa trovare nuovi ostacoli?
Ho sempre avuto fiducia che prima o poi si riuscisse ad afferrare il bandolo della matassa. Adesso vedo finalmente la luce della verità in fondo al tunnel. Siamo soddisfatti ma nessuno ci potrà ridare Emanuele: è un dolore costante, non ho più mio figlio che amavo.

E i responsabili?
Mi sembra giusto che debbano essere puniti, ci hanno tolto Emanuele.