La discussione nel Comitato Tecnico Scientifico sull’eliminazione della quarantena nei vaccinati è stata “ampia”, raccontano le fonti ben informate. Persino stendere il verbale è stato laborioso. Perché mai come stavolta agli esperti del Cts è stato chiesto di dare un imprimatur scientifico a scelte eminentemente politiche. L’allentamento delle misure di quarantena per i vaccinati è funzionale alla continuità delle attività produttive ma non era mai stato ventilato prima, nemmeno quando i vaccini avevano mostrato un’elevatissima efficacia contro le varianti Alfa e Delta.
Sul piano puramente scientifico, la variante Omicron più trasmissibile delle precedenti e capace di eludere in parte l’immunità acquisita avrebbe consigliato una scelta più prudente.

Consentire libertà di movimento a chi è entrato in contatto con un caso positivo, ma è asintomatico e vaccinato da poco, è un favore al virus perché una percentuale ancora incerta dei vaccinati contrae il virus e lo trasmette. Molti infettivologi sanno bene che il rischio di ingolfare i reparti ospedalieri in questo modo aumenta perché il virus ha più chance di raggiungere gli undici milioni di cittadini non vaccinati. Al governo si spera che l’impatto si riveli sostenibile. «Un rischio calcolato», per dirla con l’infettivologo televisivo Matteo Bassetti.

LA DECISIONE del governo spacca gli epidemiologi che ieri hanno presentato due documenti contrapposti sulla questione. Quelli della Società Italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Siti) si allineano col governo e parlano di «un devastante impatto socioeconomico» della variante Omicron «con il rischio di bloccare, o comunque compromettere fortemente, l’attività lavorativa del Paese». Tanto vale arrendersi: «Le strategie di contenimento attuate finora, in un contesto di vaccinazione di massa e di transizione verso una fase di endemia, non sono più appropriate e sostenibili: la mitigazione è l’unica opzione praticabile». Di qui la proposta, fatta propria dal Draghi, di cancellare la quarantena per i contatti vaccinati.

PIÙ CRITICA con il governo l’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie). «È sicuramente importante adeguare le procedure di gestione dei casi e dei contatti stretti, purché sostenute da evidenze scientifiche» scrivono gli epidemiologi Aie. «È tuttavia ancora più importante individuare misure per provare a contenere o almeno a rallentare la diffusione del contagio, ad esempio estendendo al massimo l’ambito di utilizzo del cosiddetto super green pass, ripristinando il ricorso più ampio possibile allo smart working». Finché persistano fasce di popolazione vulnerabili alla pandemia, «lasciarla correre liberamente non sembra una scelta sostenuta da evidenze scientifiche». Giusto difendere salute e reddito «ma non sono le misure intraprese per solo scopo di difesa dell’economia e della socialità che possono salvaguardare a medio termine entrambe le cose».

LA RESA A OMICRON è la strategia più facile, ma non l’unica possibile. Anzi, la variante rischia di trasformarsi in un alibi per non affrontare le questioni strutturali che la pandemia solleva da ormai due anni. Più che l’indice Rt, sulle scelte del governo hanno pesato più le fragilità del servizio sanitario nazionale.

Il rischio che il numero dei tamponi fosse insostenibile era noto sin da ottobre, quando la stretta sul green pass aveva innalzato il numero di tamponi giornalieri da 2-300 mila a 6-700 mila da un giorno all’altro. Chi ha buona memoria ricorderà che la necessità di una rete capillare di laboratori in grado di effettuare test in tempi ragionevoli era emersa con la stessa pandemia. Il microbiologo Andrea Crisanti, che organizzò i tamponi in Veneto nella prima fase, aveva un piano per portare la capacità a 400 mila tamponi giornalieri. «L’ho proposto ad agosto del 2020 con una lettera al governo» ricorda oggi. Il ministro Speranza l’aveva respinta e oggi i governatori lamentano che i reagenti scarseggiano. Con il suo piano avremmo evitato il rischio? «Certo» risponde lo scienziato. «All’ospedale di Padova non abbiamo problemi di reagenti».

PER RIDURRE IL NUMERO di test superflui, sarebbe stato necessario potenziare il tracciamento dei contatti da parte delle Asl, in modo da concentrare i tamponi laddove sono realmente utili. Ma il “tracing” è saltato mesi fa e oggi domina il fai-da-te via whatsapp, nel migliore dei casi.
Altrettanto importante sarebbe stato coinvolgere nella comunicazione e nei tamponi i medici di famiglia. «Nel Lazio circa un terzo dei medici di famiglia fanno test in studio. Ma in Lombardia sono una sparuta minoranza» ammette il vicesegretario Fimmg Pierluigi Bartoletti «anche perché la regione ha fatto poco per coinvolgerli». Proprio lì dove sarebbero stati decisivi. Ma nemmeno la pandemia ha spinto a una maggiore integrazione tra medici «liberi professionisti» e Asl in carenza di organico.