La stampa siciliana, all’indomani dei risultati del referendum sulle trivelle, ha messo, giustamente, l’accento sull’Alfa e l’Omega dei controversi risultati della consultazione nell’isola: Gela con il record negativo dei votanti (15%) e Sciacca, scopertasi capitale siciliana del fronte antitrivelle con quasi il 54% di partecipazione, ben al di sopra del quorum. Gli altri comuni hanno ottenuto risultati variabili con affermazioni molto vicine al quorum soprattutto nei comuni dove si è sviluppato nel 2011 il grande movimento del “Forum Siciliano per l’acqua pubblica e i beni comuni” che ha portato all’approvazione in Sicilia di una legge sull’acqua pubblica per gli usi civili osteggiata nella sua applicazione dal governo Renzi e dai suoi rappresentanti nell’isola.

Sciacca e Gela, a poche decine di chilometri l’una dall’altra sulla costa meridionale della Sicilia, a metà del secolo scorso hanno scelto due linee di sviluppo alternative. Sciacca, assieme a Ribera e Menfi, ha puntato sull’irrigazione delle dighe dell’Ese, sullo sviluppo della viticoltura e, quindi, sulle cantine sociali con migliaia di soci e su un’agricoltura avanzata analoga a quella che, all’altra estremità sud dell’isola, a Vittoria, si sviluppava attraverso l’irrigazione e le serre. Nel 1963, poi, ad iniziativa dell’amministrazione comunale socialcomunista, quello che era un modesto approdo, con poche decine di barche da pesca, fu trasformato in un moderno porto che oggi accoglie 150 grandi pescherecci e costituisce una quota importante dell’occupazione e del Pil, in collegamento anche con lo sviluppo del turismo, con colossi come la francese “Rocco Forte” e il gruppo inglese “Aeroviaggi”, ma soprattutto con una rete di 200 B&B e case vacanza. Delle tredici richieste di perforazione presentate nello specchio d’acqua antistante Sciacca, undici sono state già archiviate a furor di popolo e per le altre due (della francese Schlumberger e della inglese Northern Petroleum) è in corso una battaglia che dura ormai da parecchi anni anche perché c’è memoria di uno sversamento a mare di prodotti petroliferi. Questa situazione ha fatto in modo che tutte le forze politiche presenti a Sciacca, oltre i movimenti e le associazioni, da Forza Italia a Ncd, dall’attuale sindaco Di Paola (principale collaboratore di Alfano), al M5S, alla corrente renziana del Pd e naturalmente a Sel e a Rifondazione comunista, hanno determinato la straordinaria partecipazione al voto del referendum.

Il discorso è rovesciato a Gela dove uno sviluppo analogo a quello di Vittoria e di Sciacca, Menfi e Ribera è stato bloccato dall’iniziativa di Mattei. Nei primi anni ’50, infatti, l’Agip-Eni scelse Gela per costruire raffineria e impianti petrolchimici su circa tremila ettari di latifondo che era stato proprio assegnato, attraverso le lotte per la Riforma agraria, a circa 1.500 braccianti e contadini poveri.

Gli assegnatari, contro il parere della Cgil e della Confederterra, furono indotti da Mattei a cedere le loro quote in cambio di un milione di vecchie lire (una tantum) e soprattutto dell’impegno, realizzato, di occupare nella nuova industria almeno un componente della famiglia degli assegnatari. Lo sviluppo del petrolchimico condizionò inevitabilmente il modello di sviluppo di tutta la zona ed impedì, per circa 60 Km ad est e ovest di Gela, la crescita di un’economia analoga a quella di Vittoria e di Sciacca. Ora, dopo la privatizzazione e l’entrata in crisi del sistema petrolifero, con la caduta del prezzo di oltre il 50%, l’Eni ha deciso di chiudere l’ultimo residuo del vecchio petrolchimico ridotto ad una raffineria del micidiale residuo velenoso il pet coke della raffineria oggi “Lukeoil” di Priolo. Queste vicende spiegano che a poche decine di km di distanza gli stessi partiti politici e organizzazioni sindacali che a Sciacca si sono uniti, senza distinzioni di destra e sinistra, contro le trivellazioni si sono ritrovate, sotto la guida di Crocetta, ex funzionario dell’Eni, ad invitare all’astensionismo che ha portato Gela al clamoroso risultato negativo. Mentre a Sciacca, seguendo la linea promossa dalla Fiom di Landini, la CdL e tutti i sindacati si schieravano sul fronte anti trivelle, a Gela con l’ intervento, anche personale, di Emilio Miceli, segretario nazionale della Cgil chimici, il sindacato è stato il promotore principale dell’astensionismo. Da notare che le uniche formazioni politiche che hanno mantenuto lo stesso atteggiamento sia a Sciacca che Gela sono Sel e Rifondazione comunista, da un lato e M5S dall’altro che ha perfino espulso il sindaco di Gela, Domenico Messinese, eletto nel 2015 nella sua lista.

La manovra di Renzi, i tempi abbreviati per il referendum e il cedimento sulla parte essenziale delle proposte referendarie (che costituisce però, se confermato, un successo del movimento) hanno portato ai risultati contraddittori del 17 aprile.

Ma ora, in vista dei referendum costituzionali (senza quorum) e di quelli tematici (sulla scuola, contro il jobs act ed ora, ad iniziativa dei sindacati, sulle leggi che regolano il rapporto di lavoro) la Cgil della Camusso, dovrà trovare l’accordo tra Landini e i chimici di Miceli se vuole riuscire a raggiungere gli obiettivi che si è prefissa.
Ad urne chiuse il risultato del referendum apre alle forze di progresso e ambientaliste della Sicilia una nuova prospettiva sul futuro: sfruttare il sole del Mediterraneo, per fare diventare l’isola, con i poteri del suo Statuto autonomo, il centro propulsore dello sviluppo economico, democratico e pacifico dell’intera area mediterranea secondo l’ispirazione di papa Francesco ed ora dell’Onu che ha recepito integralmente i risultati della Conferenza sul clima, COP 21 di Parigi.