È bastata una fugace confessione a Vogue sulle sue abitudini nell’abbigliamento (peraltro in una lunga intervista in cui parla soprattutto di politica) per scatenare una tempesta mediatica su Elly Schlein. «A volte sono anticonvenzionale, altre volte più formale. In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista, Enrica Chicchio».

Da destra è arrivata una tormenta di sfottò, pedale schiacciato sui clichè della radical chic, della finta compagna che utilizza una consulente d’immagine. Salvini ha subito twittato un ritratto di Schlein corredato dalla parola Vogue con una falce e martello al posto della “g”. Altri sfottò dal renziano Bonifazi, definito dalla stessa Boschi «il re delle notti nei locali fiorentini», uno che addosso ha sempre diverse migliaia di euro tra abiti, scarpe e orologi.

Così anche Calenda: «Come è noto io sono molto élite, ma vi giuro che ignoravo l’esistenza dell’armocromista come figura professionale». Poi si è saputo che la consulente ha delle tariffe (che comprendono lo shopping per i clienti) da 140 a 300 euro l’ora, che lei fa le compere perchè «Elly è molto impegnata» e il fiume dell’indignazione è tracimato: «Sinistra al caviale!».

Certo, la definizione di «armocromista» non è di larga diffusione fuori dagli addetti ai lavori e suona un po’ snob,  e non è chiaro perché Schlein non si sia tenuto stretto il marchio che le aveva affibbiato il Corriere, «Solito outfit da centro sociale», che la metteva più in sintonia con le generazioni di precari che vorrebbe rappresentare. E tuttavia che gli abiti e i loro colori siano parte integrante del messaggio politico non è certo una novità, o un vezzo di Schlein. E chi finge di ignorarlo è in totale malafede.

Per restare a sinistra, nel primo Dopoguerra si ricordano le sfuriate di Togliatti contro i compagni che portavano cappotti informi e rattoppati. «Facci sapere, compagno, se per caso il partito può fare qualcosa per procurarti un nuovo paltò…», disse un giorno a un dirigente incontrato a Botteghe Oscure.

Poi, come racconta Stefano Di Michele in un formidabile pezzo del 2014, un giorno in ascensore incontrò Nilde Iotti. «La compagna con l’abito blu e il colletto bianco ha un vestito adeguato. Prendete esempio da lei», il messaggio del leader del Pci. «Di blu, ci si vesta di blu!», un altro dei suoi richiami ai compagni che prestavano poca attenzione al look. E cos’è questa se non un armocromia fai-da-te, 70 anni prima dello scandalo Schlein?

Arrivò anche il famoso completo marrone di Achille Occhetto durante il duello tv con Berlusconi nel 1994: quel look «dall’aria tardo-sovietica» fu indicato all’unanimità come une della cause della sconfitta dei progressisti. Tanto che D’Alema, pochi anni dopo, chiamò in soccorso la pubblicitaria Anna Maria Testa, che gli impose di vestirsi solo di grigio e di blu.

Poi, certo, D’Alema cadde sulle scarpe fatte a mano (lui sostiene da 120 euro al paio), e poi sulla barca Ikarus. «Sono cose che rimangono impresse nell’immaginario», confessò a Curzio Maltese. E poi ci furono le camicie button down di Veltroni, e i cachemire di Bertinotti che, ben prima della moglie di Soumahoro, rivendicò il diritto all’eleganza per i comunisti. Fino a Bersani, che lo scorso Natale fu beccato a comprare una sciarpa da Louis Vuitton, e fu preso di mira da Alessandro Sallusti. Che poi fu costretto a scusarsi per aver rovinato al sorpresa natalizia alla moglie dell’ex leader Pd.

Per uno strano doppiopesismo, gli stessi giornali che da trent’anni si divertono a pizzicare i leader di sinistra mentre cadono in tentazione con i lussi borghesi, dieci anni fa si misero ad elogiare il fighettismo di Renzi come sintomo di grande modernità. E fu proprio Mediaset ad accoglierlo trionfante negli studi di Maria De Filippi con il giubbotto di pelle alla Fonzie. «Finalmente una sinistra moderna!».

A Schlein non si perdona invece quello che tutti i leader politici fanno dal Dopoguerra. Chissà cosa avrebbero detto di Alexandria Ocasio- Cortez che, nel 2020, fece una serie di video, proprio per Vogue, in cui parlava della sua make up routine quotidiana, spiegando che lo faceva per ribadire dire che «non è vero che se una donna impegnata in politica si interessa al beauty e alla moda questo la rende frivola». Chissà se Schlein quando ha scelto quel magazine voleva provocare i conservatori come la sua collega americana, che ha da tempo come modello.

Di certo l’armocromista- shopper Chicchio ieri non l’ha aiutata a dribblare i clichè, quando ha detto di averle scelto un trench verde glauco (tradotto: salvia) che ha «sostituito l’eskimo» e che «sposa il suo incarnato delicato e richiama il verde che nei nostri ricordi si accompagna a giornate immerse in quella natura che va protetta e custodita». Forse certi “consigli per gli acquisti” è meglio tenerli riservati. E magari, ogni tanto, riprendere dall’armadio quell’«eskimo innocente», che per magia sopisce ogni polemica.