La Corte costituzionale turca ha parzialmente annullato la controversa legge di riforma del Consiglio superiore della magistratura (Hsyk), promulgata dal governo conservatore di ispirazione islamica del premier Tayyip Erdogan. Gli articoli abrogati in seguito al ricorso presentato dal partito di opposizione principale (repubblicano del popolo – Chp) riguardano quelli che conferivano al ministro della Giustizia un potere decisionale molto ampio sul funzionamento e la composizione degli organismi del consiglio.

La riforma, sottoscritta lo scorso febbraio anche dal presidente della repubblica Abdullah Gül, che aveva pur espresso delle riserve in merito, aveva suscitato un’ondata di proteste (nella foto reuters) sia tra i partiti all’opposizione sia tra gli avvocati e i magistrati, perché ritenuta di fatto un passo verso la fine della separazione dei poteri esecutivo e giudiziario.

Dopo la pubblicazione della legge sulla gazzetta ufficiale il ministro della Giustizia Bekir Bozdag aveva provveduto a mettere fine all’incarico di tutti i 600 funzionari dell’organismo, nominandone dei nuovi, fatta eccezione solo per i 22 nomi che ne formano il consiglio generale. Nel processo di «rinnovamento» era compreso anche il personale dell’Accademia nazionale di giurisprudenza, l’istituzione che provvede alla formazione dei futuri giudici e magistrati prima dell’avvio alla professione.

Non è la prima volta che la corte costituzionale si contrappone alle leggi lampo approvate dal governo turco negli ultimi mesi, ritenuti una conseguenza diretta degli scandali che hanno preso avvio con la tangentopoli del 17 dicembre scorso coinvolgendo lo stesso esecutivo.

Per Ankara, che nega ogni tipo di accusa, parte della magistratura è coinvolta nel «complotto» ordito da uno «Stato parallelo». A guidare il piano sarebbe l’imam Fethullah Gülen, ex alleato del premier, in esilio volontario negli Stati uniti. È noto infatti che il movimento Hizmet del potente Gülen dispone di una grande influenza all’interno della magistratura turca. La corte ha già recentemente decretato l’annullamento del blocco di Twitter, rimasto inaccessibile nel paese per quasi due settimane per impedire la diffusione di file audio compromettenti. Il premier Erdogan ha reagito duramente alla decisione del tribunale, definendola «contraria agli interessi della nazione» ed affermando di non rispettarla. Nel frattempo la corte ha firmato una nuova sentenza che annulla un’altra legge, quella che attribuiva all’ente statale di tecnologia informatica (Btk)la facoltà di definire le norme secondo le quali dovrebbero essere elaborati e protetti i dati personali che circolano nel campo della comunicazione elettronica.

Un’altra «precauzione» del governo per tenere il flusso di dati informatici sotto stretto controllo. Ma i provvedimenti assunti dal governo negli scorsi mesi (tra cui anche la legge sulla limitazione di internet, il blocco di Youtube ancora in vigore) sono motivo di preoccupazione anche per l’Unione Europea e «hanno creato dei dubbi riguardo all’impegno della Turchia nel processo di adesione all’UE», ha affermato giovedì scorso il commissario della commissione europea responsabile dell’allargamento Stefan Füle. Il governo Erdogan, può approvare anche le leggi più controverse perché forte di una maggioranza parlamentare assoluta e la vittoria rinnovata alle elezioni amministrative dello scorso 30 marzo ha dimostrato che questo vantaggio non verrà perso facilmente. Allo stato attuale la corte costituzionale risulta essere l’unica istituzione in grado di mettere in discussione le sue decisioni. Lo ha fatto di nuovo ieri, inaugurando un account Twitter a proprio nome. Un atto simbolico che ha sugellato la sentenza emessa nella stessa giornata.