Un mare, anzi un oceano, di carte – biografie, saggi critici, nuove edizioni, traduzioni, film – circonda il magico arcipelago brontiano: Anne, Emily, Charlotte. Lontane dalla modernità e perciò così attraenti. I loro versi allucinati, tardo-romantici forse pre-imagisti, misteriosi e incantatòri hanno il fascino dei lieder. Non ci chiedono di essere capiti, ma di sentire con loro. Per merito del padre, il reverendo Patrick Brontë della canonica di Haworth, bello, dominante, solitario, conosciamo le adolescenziali aspirazioni delle loro brevi esistenze. Morirono di tubercolosi – come già la madre e le due sorelline più giovani – a circa trent’anni Anne e Emily, Charlotte a trentotto. Per conoscerle meglio, il padre le aveva interrogate e loro, con una maschera sul volto, avevano risposto baldanzosamente. Anne si aspettava di crescere e fare esperienze, in vaga ascesa al sublime romantico, Emily si rivelò passionale e terrigna, pronta a usare lo scudiscio contro l’irragionevole fratello Patrick Branwell, Charlotte, la più ambiziosa, si proponeva di sradicare quelle potenti radici. Lasciò scritto che per amare la brughiera e il povero villaggio è necessaria nell’occhio di chi guarda «una luce purpurea» che illumini quel luogo unico (Nota biografica).
Sylvia Plath si fermò per un tè in una fattoria a Withens (Yorkshire) nell’agosto 1956, e in una chiesa vicina vide i memorabilia delle tre sorelle: la culla di legno,l’acconciatura nuziale di Charlotte, il lettino di Emily moribonda, i minuscoli libri, i luminosi acquarelli. Si arrampicò per un faticoso sentiero che portava alla Canonica, e lo descrisse in prosa e in versi. «Sopra steli e volute di ginestrone, / erbe appiattite dalle pecore, / muro di pietra e trave di colmo / sorgono come prua di nave / tra le bave di nebbia di quell’entroterra / meta di pochi escursionisti: / dimora dell’inafferrabile» (Due vedute di Whitens, trad. Anna Ravano). Quattro anni dopo scrisse Cime tempestose: «Non c’è vita più alta della cima dell’erba / o del cuore delle pecore, e il vento / si riversa come il destino, piegando / ogni cosa in una sola direzione. Lo sento che cerca / di svuotarmi del calore. / Se presto loro troppa attenzione, / le radici dell’erica mi inviteranno / a imbiancare le mie ossa in mezzo a loro” (trad. A. Ravano). Joyce Carol Oates cita questi versi a riprova del dilemma di Plath, una identità ridotta, disperata, «testimone passiva di un turbolento mondo naturale». Se il postulato morale della sua poesia la condanna a morte, come Oates sostiene, allora quello era il luogo in attesa per lei. Ted Hughes commentò il vuoto inquietante e minaccioso della brughiera che Sylvia aveva catturato come mai prima: «…la solitudine intensa, quasi spaventosa, di tutto ciò che è lassù: le stelle,l’acqua, le pecore. Come se ogni cosa fosse sul punto di svanire nello spazio».
May Sinclair aveva iniziato nel 1911 la biografia romanzata Le tre sorelle proprio dal luogo in cui vissero, il fatidico Haworth: «Un muricciolo e pochi passi di giardino desolato dividono la Canonica dal cimitero, pochi passi la porta della casa e la porta del muro attraverso cui sono passati i suoi morti. Ma un sentiero conduce oltre il cimitero verso un verde viottolo solitario, il viottolo di Emily Brontë che porta in aperta brughiera. È stato il genio delle Brontë a rendere il luogo immortale, ma è stato lo spirito del luogo a plasmare il loro genio. Esagerarne l’importanza è impossibile. Assorbirono Haworth fino ad esserne intrise. Quando se ne andarono lo desiderarono con bramosia, ammalandosi di nostalgia finché non tornarono. Ad esso si diedero con passione, e le loro opere risuonano dell’urto e dell’interscambio di due essenze immortali» (trad. Maria Del Sapio Garbero).
Charlotte, la più grande e autoritaria, progettò vari modi di una loro uscita nel mondo degli affari: proporsi come istitutrici, aprire una scuola, pubblicare i loro versi, Poems, e i romanzi Wuthering Heights di Emily e Agnes Grey di Anne, sotto pseudonimi maschili. Per circa due anni insegnò inglese e francese in un collegio femminile a Bruxelles. Qui scrisse il suo primo romanzo The Professor che sarà pubblicato postumo. Nell’ottobre 1847 uscì Jane Eyre, e l’anno successivo la seconda e la terza edizione. Fu il successo. Il primo grido di libertà Charlotte lo aveva lanciato proprio attraverso la maschera di William Crimsworth, protagonista de Il professore (trad. di Martina Rinaldi, Fazi, 2016). William lascia il suo impiego presso la ditta dell’odioso fratello e se ne va in Belgio. «Stringevo tra le braccia la libertà per la prima volta, e l’influenza del suo sorriso e del suo abbraccio ravvivano la mia vita come il sole e il vento dell’ovest». Nelle poesie delle tre sorelle il vento penetra e abbraccia, scompiglia e geme d’amore fin sulla tomba, emblema di desiderio, dell’infinito e dell’inafferrabile. Scrive Anne: «Quel vento viene dal Nord, lo riconosco, / così violento altri non ne soffia. / Tuona profondo e forte attorno alla mia cella, / cala fino a svanire e sommesso sospira / e geme e mormora tristemente. / Conosco il suo linguaggio…» (Beatrice Solinas Donghi, Anne Brontë la gemella minore, a cura di Massimo Bacigalupo, il canneto editore 2020). Nel mondo in prosa del professor Crimsworth il vento di shelleyana memoria compare una sola volta poiché l’uomo, né bello né brutto, è al centro ma sempre al chiuso della città, moderato, dignitoso, nazionalista ma rispettoso del nazionalismo altrui: francese, svizzero … italiano. Era stato portato di ritorno da un viaggio dall’amico aristocratico Hunsden un ragazzo italiano «dallo sguardo selvaggio e insoddisfatto, che non cantava e non suonava e secondo Frances aveva ‘tout l’air d’un conspirateur’». In quegli anni Mazzini viveva a Londra, scriveva su giornali inglesi, proponeva anche l’unione europea. Frances, informata non solo di Little Italy a Clerkenwell, è la fidanzata perfetta del professore, metà inglese, metà francese, anzi svizzera, malvestita ma piena di idee mazziniane a quanto sembra, polemica ma ossequiosa, ambiziosa docente che appellerà sempre suo marito «monsieur». «Frances è l’esangue e controllata sorella di Jane Eyre … Fra Il professore e Jane Eyre rimane un abisso profondo» – scrive May Sinclair. L’idilliaca scena finale lascia qualche dubbio: il ragazzo italiano è figlio del nobile Hunsden e dell’attrice italiana di cui ammiriamo il quadro? Ma perché Hunsden interviene generosamente nella vita del professore? L’italiano è il fratellastro del professore? Il grido finale del giovanissimo Victor «Papà, vieni!» è un invito al processo del padre che si terrà in Jane Eyre. Il nobile Rochester, i cui viaggi non avranno più segreti, ne uscirà con le ossa rotte, cieco, claudicante, al braccio della piccola ma vigorosa istitutrice che è diventata sua moglie. «Sono quasi le quattro, signore; non ha appetito?». Nel finale le due sorelle di Jane si sposeranno anche loro felicemente, mentre un vecchio si avvia serenamente alla sua ultima dimora.
Ma così non avviene nella tragica Haworth. Nel settembre 1848 muore Branwell, prima di Natale Emily. L’anno dopo Anne. Charlotte è tornata a casa a vivere col vecchio padre, ormai famosa, scrive un romanzo storico, Shirley. Nel giugno 1854 sposa il Reverendo A. B. Nicholls, aiutante del padre, dopo aver vinto le resistenze di lui. Charlotte muore il 31 marzo 1855, incinta di tre mesi. È sepolta anche lei nella tomba di famiglia. Nel 1857 escono Il professore e The Life of Charlotte Brontë dell’amica Elizabeth Gaskell. All’età di ottantaquattro anni muore il Reverendo Brontë, ormai cieco.
Jean Rhys giunse a Londra dalla Dominica, a sedici anni. Dalla dolcezza dell’adolescenza caraibica le venne forse il desiderio di rivendicare la storia della pazza Bertha, la moglie creola di Rochester che brucia viva nel castello gotico del marito e padrone. Dopo quattro inquietanti romanzi scritti con piglio modernista dal 1929 al ’39, nel 1966 pubblicò Wide Sargasso Sea, in apparenza premessa a Jane Eyre, in realtà atto di accusa non solo contro Rochester, il dominio imperiale e patriarcale, ma contro la stessa indulgente autrice, Charlotte Brontë. A meno che, come può accadere nelle strategie della fiction, il personaggio di Bertha sia la premessa a quello di Jane, quindi la risoluzione della stessa donna: la prima permette che la seconda vinca e parli anche per lei.