“Scenari dal Toti-Verso”: a Pesaro si vedrà una prima selezione dai film privati e di viaggio di Gianni Toti (poeta, cineasta, videoartista), finora sconosciuti, ritrovati durante il riordino e la catalogazione del suo archivio per “La Casa Totiana”, (a Roma, in via Ofanto) in cui sono oggi sistemati e resi fruibili gli innumerevoli e preziosi materiali di questo artista. Alcuni film sono stati girati dalla moglie di Toti, la pittrice ungherese Marinka Dallos, durante viaggi fatti insieme, in Ungheria, in Italia, a Parigi.

Gianni Toti (Roma 1924-2007) è stato uno dei più assidui e attenti frequentatori della Mostra del Cinema di Pesaro, dagli inizi, da quando si chiamava “del nuovo cinema”: protagonista, anzi, dei dibattiti, delle lunghe discussioni teoriche e critiche, degli incontri con i registi. Un frequent-attore quindi, come forse avrebbe detto lui, con la sua attitudine a sistemare le parole in modo più acconcio a significati plurimi, a pizzicarle con la sua ironia, a rivoltarle creativamente o a ricondurle al senso originario. Italo Moscati lo ricorda a Pesaro nel 1968, dove fra le contestazioni e le cariche della polizia, fra lacrimogeni e lanci di vasi di fiori, cercò di far ragionare la folla esaperata: “nella confusione si sforzava di fare spazio ad una pausa, a momenti meno esagitati, di dialogo…Era il meno giovane di noi tutti, ma aveva un tono appassionato e colto, senza affettazione, e trovò le parole giuste.”A Pesaro, Toti ha continuato ad andare fino agli anni più recenti, dialogando con i giovani autori video, scoprendo nuovi registi, partecipando anche ai convegni organizzati dalla Mostra, intrecciando una rete di idee, di osservazioni e di proposte con gli amici di sempre e con sconosciuti che in un battibaleno includeva nel suo dire: e la scintilla poteva essere una polemica, o una curiosità affettuosa.

Toti teneva molto alla vocazione “sperimentale” della Mostra di Pesaro, che del resto ben rispondeva alla sua stessa ricerca: da un lato dare spazio a linguaggi nuovi, scardinare gli stereotipi, creare torsioni audio-visive in grado di allenare il pensiero a connessioni inusuali (la grande scuola delle avanguardie storiche), e dall’altro esplorare territori lasciati in ombra dal panorama critico e dai media, cinematografie sconosciute, autori grandi ed emarginati, opere che raccontavano zone sofferenti del pianeta, attestandone nello stesso tempo una creatività viva e resistente.

Era, in fondo, il suo stesso viaggio. Un viaggio nelle parole, alla ricerca di quell’esattezza che solo la poesia può darci e può dare al mondo; e nelle immagini, che balzavano fuori dalla sua scrittura come da uno schermo e si facevano “schermopagina” e, più avanti, avvicinandosi all’arte video, “poetronica”. E un viaggio reale in giro per il pianeta (il “pianetorottolo”, come lo chiamava lui). Toti lavorava al quotidiano “L’Unità” dall’immediato dopoguerra. Aveva diretto all’epoca di Di Vittorio il settimanale della CGIL “Lavoro”, negli anni Cinquanta; Per “Vie Nuove” e per “L’Unità” era stato inviato speciale, viaggiando in vari continenti, dall’Asia all’amata Sudamerica negli anni Sessanta: Vietnam, Ungheria, Cuba, URSS, Praga e Parigi, Grecia, Algeria. Aveva intervistato Fidel Castro e Alain Robbe-Grillet, era stato imprigionato e poi espulso da Saigon, aveva bevuto indimenticabili cafecitos con Che Guevara, vissuto a contatto con tribù di indios, conversato con l’amico Julio Cortázar. Da questi viaggi aveva sempre portato manoscritti, opere poi pubblicate in Italia su “Carte Segrete” o in volume, spesso traducendole lui stesso, oppure con la moglie Marinka Dallos, come nel caso dei grandi poeti ungheresi.

Non si sapeva che in alcuni di quei viaggi, e anche in altri più personali e “privati”, Toti avesse portato con sé una cinepresa. Regista cinematografico – due film, entrambi sperimentali – e poi videoartista, Toti si era sempre avvalso per la sua produzione audiovisiva (svoltasi durante gli anni Ottanta in ambito RAI) di operatori professionisti, avvicinandosi in prima persona a una videocamera solo agli inizi degli anni Novanta, quando a Mosca, a un Simposio su Dziga Vertov, aveva imparato a usare, con una certa euforia, una “macchinetta”: da allora aveva girato lui stesso i suoi VideoPoemi, che del resto erano anche punteggiati di found footage e poi, nelle produzioni francesi, di immagini digitali create direttamente al computer.

Così, dopo i libri su Toti usciti in questi ultimi anni (anche dedicati alla sua attività giornalistica), dopo gli omaggi e le molte iniziative de La Casa Totiana – la più impegnativa è il progetto di digitalizzazione e libera fruizione in rete della sua produzione, a partire da quella videoartistica – vengono ora presentati questi scenari personali e di viaggio, che illuminano da un altro punto di vista il percorso di Toti, le sue geografie esistenziali, i suoi appunti. Accanto ai tanti taccuini fitti di note letterarie, di spunti per racconti, di poesie, di parole incontrate e salutate con meraviglia (dialetti, lingue straniere), abbiamo così ora queste note visive, che si aprono su scenari dell’universo di questo grande viaggiatore, di questo coSmunista, come si definiva – in anni in cui il cosmopolitismo appariva sospetto a una sinistra poco incline a visioni planetarie.

Il fondo è costituito da 32 bobine in formato 8 mm di diversa lunghezza e da 3 bobine in 16mm; i film sono stati girati da Gianni Toti e da Marinka Dallos negli anni Sessanta e Settanta, e nel 2012 questo corpus di pellicole è stato donato dalla seconda moglie di Toti, Pia Abelli, all’Archivio nazionale del film di famiglia, che sta procedendo alla digitalizzazione e alla fruibilità del materiale. “Home Movies” da anni compie un lavoro assolutamente unico e prezioso di conservazione, studio, distribuzione di film amatoriali e di famiglia, che spesso offrono immagini di grande bellezza ma anche, com’è noto, una documentazione storica, antropologica, di costume rara e imprescindibile. In questo caso, i film non solo ci regalano luminose estati a Ostia, sul Lago Balaton, nel villaggio natale di Marinka Dallos in Ungheria, al mercato di Porta Portese a Roma, sui Colli Euganei, ma anche scorci di viaggi fatti da Toti nell’ambito del lavoro giornalistico, istantanee in movimento su paesi lontani, riprese a margine di suoi film, come quelle per la preparazione del lungometraggio E di Shaùl e dei sicari sulle vie da Damasco, del 1973.

Curato da Paolo Simoni per “Home Movies” e da Silvia Moretti e Pia Abelli per La Casa Totiana (sono state indispensabili informazioni e ricostruzioni biografiche e ricordi personali per stabilire datazioni e localizzazioni, non sempre facili), il montaggio presentato in anteprima a Pesaro – circa 40′ di film volutamente diversi – è punteggiato da didascalie informative ma anche dello stesso Toti, ricostruite a partire da articoli e testi scritti in occasione di alcuni dei viaggi qui documentati.

Nei film di famiglia è spesso Marinka a prendere la cinepresa: ritrae Gianni Toti col nipotino, nel villaggio ungherese di Lorinci; o al mare; o intento a esplorare uno scorcio di paesaggio; o con la madre. Momenti di svago e di serenità sulla spiaggia di Ostia, sguardo affettuoso sulla piccola comunità paesana da cui Marinka proveniva, fra un gruppo di case, cespugli di fiori, la ferrovia. Motivi campestri e di raffinata tradizione artigiana che lei stessa, pittrice naïf, andava raffigurando nei suoi quadri: in uno dei film a colori Toti la ritrae con indosso un bellissimo costume e un copricapo tradizionale. E poi i viaggi a Belfast, in Spagna, in Africa, le riprese dalla Tour Eiffel, Venezia. E Cuba, nel ’64: Plaza de la Revolución gremita, un giovane Fidel Castro, Che Guevara attorniato dalla folla. Infine, un filmato in cui la cinepresa abbandona la sua veste di “macchina da prosa” – come diceva Toti – e comincia a guardare diversamente: dettagli, immagini inclinate, scritte misteriose, forse un embrione di storia, silhouettes, quadri nel quadro. Il film di famiglia si incammina verso il film d’artista.