Qua e là, fra un brano e l’altro, Kiko Dinucci si rivolge al pubblico con poche e un po’ incerte parole che rivelano la sua timidezza, ma anche l’emozione per essere in Italia, emozione che dichiara assieme al rammarico di non sapersi esprimere in italiano: per Dinucci, uno dei milioni di paulisti con origini nella penisola, l’italiano è la lingua dei suoi nonni napoletani, che cita affettuosamente, Maria e Matteo. Quando l’estate prossima, come pare probabile, lui e la vocalist Juçara Marçal che lo sta affiancando in duo in una nutrita tournée europea torneranno su questa sponda dell’oceano, c’è da augurarsi che il nostro paese sia un po’ più sensibile alla loro presenza, e non tanto e non solo in omaggio alle radici italiane di Kiko: Dinucci e Juçara Marçal spiccano infatti da diversi anni come due delle figure di punta della scena di Sao Paulo, cioè una delle scene musicali più vivaci e innovative del pianeta. Per il momento c’è da rendere merito al Centro Santa Chiara di Trento, che in una data unica per l’Italia li ha presentati sabato al Teatro SanbàPolis.

L’OCCASIONE del giro europeo, intestato a Dinucci, è la presentazione del suo album Rastilho, pubblicato nel 2020 dall’etichetta Mais Um: un album imperniato sulla chitarra acustica, in cui le voci – fra cui quelle dello stesso Kiko e della Marçal – si tengono un po’ indietro, senza rubare il centro della scena allo strumento. Dal vivo, in una formula stringente come il duo, le due voci prendono una maggiore importanza, con uno splendido equilibrio che, come la capacità di catturare l’attenzione, si mantiene perfettamente per tutta l’ora e mezzo dell’esibizione. Dinucci e Marçal assieme al sassofonista Thiago França sono la formazione base del gruppo afro-punk-free Metá Metá: ascoltarli in una dimensione completamente diversa come questa, chitarra acustica e due voci, è la conferma, se ce ne fosse bisogno, non solo della loro versatilità, ma anche della grande sostanza del loro fare musica.
C’è un grande equilibrio, nello specifico, anche nell’uso della chitarra di Dinucci, che contribuisce a rendere varia la musica e a mantenere alto il feeling del set: Dinucci viene dal punk e dall’hardcore degli anni novanta, e nel repertorio di Rastilho combina all’interno dei brani vena melodica, arpeggi, dolcezza, e una certa rudezza anche timbrica, un tocco nervoso, un approccio ritmico che ha qualcosa di percussivo. Juçara Marçal ha viaggiato in Brasile esplorando le musiche indigene influenzate dall’Africa, mentre Dinucci dopo le sue esperienze rock e punk si è avvicinato al candomblé, e nel repertorio di Rastilho non mancano i riferimenti al pantheon delle divinità afrobrasiliane: cominciano con Olodé, un brano di Dinucci dedicato a Oxosi, orisha della caccia, delle foreste e degli animali.

C’È POI Foi Batendo o Pé Na Terra, omaggio di Dinucci ai samba dell’interno di Sao Paulo e di Bahia, in cui alla chitarra alterna leggiadria e crudezza. Vida Mansa è un samba registrato per la prima volta nel ’55 da Cyro Monteiro. Marquito invece è dedicato ad un membro della guerriglia ucciso durante la dittatura dai paramilitari anticomunisti: nel brano, senza testo, c’è un’atmosfera che, come Dinucci osserva alla fine, ricorda i western all’italiana con le musiche di Morricone. Il duo è un gioiello di classe e di misura. La prossima estate torneranno con Rastilho ma presenteranno anche, con altri musicisti, Delta Estacio Blues – ne hanno proposto qualcosa nei bis – album di Juçara Marçal, prodotto assieme a Dinucci, in uscita in questi giorni: tutta un’altra faccia della creatività di Marçal e Dinucci.