Primo scatto «a dialogo corto» della Contax Zeiss-Ikon: Giuseppe Ungaretti in primo piano, seduto a tavola davanti a un calice vuoto e ad un tovagliolo gualcito. La giacca a doppiopetto dagli ampi revers; gilet abbottonato; i pizzi della camicia a righe; cravatta. Appoggia il gomito sinistro al bracciolo d’una poltrona di vimini e la mano tiene piegata sulla guancia. Fessure gli occhi e le sottili labbra. Due son seduti a un tavolino accanto. Uno volge a Ungaretti le spalle.

L’altro è Giorgio Morandi intento a leggere, la montatura scura degli occhiali rotondi. Secondo scatto. Ora Ungaretti sorride al fotografo. Dietro di lui riconosciamo Marco Valsecchi: si è voltato verso Fernand Léger che siede più in là. E forse è di Léger quel cappello floscio appeso all’inferriata del giardino. Morandi, assorto, prosegue nella sua lettura. Terzo scatto: Léger conversa al capo d’una tavolata di almeno sei commensali. Mele, ciliegie, vin rosso nei bicchieri sulla bianca tovaglia. Siamo alla fine del pranzo. Qualcuno ha già acceso la sigaretta. Là, oltre Léger, scorgiamo Morandi concentrato sulla pagina come fosse altrove. Quarto scatto: Ungaretti conversa, seduto, con Libero De Libero, in piedi, le mani conserte, alcune carte sotto il braccio.

Quinto scatto: Morandi occupa intera l’inquadratura, un sorriso lieve negli occhi – le stanghette gli tengono alzate, tonde sulla fronte, le lenti. Guarda accogliente il fotografo che si è avvicinato e forse affiora, in quel sorriso appena accennato, una punta di affetto.

Nel volto di Morandi attutite, lontane, per un attimo sospese, si spengono le numerose voci, tace il cicaleccio del Caffè dei Giardini di Sant’Elena, a Venezia, nei giorni della Biennale del 1952. Le cinque fotografie sono riprodotte, con numerose altre, da Duccio Tombadori in Album di famiglia. Gli anni Cinquanta nelle fotografie di Antonello Trombadori, pubblicato dall’editore Manfredi.

Antonello Trombadori assegna alle sue fotografie un andamento di sequenza. Sono immagini conseguite tramite una successione di angolature complementari che Trombadori traguarda muovendosi di concerto con gli amici. Fotografie che non derivano da un obbiettivo portato dall’esterno. Chi fotografa fa parte del gruppo. Non documenta, partecipa. E coinvolge. Passeggiamo con Picasso per le vie di Firenze; diciamo la nostra sui temi della conversazione tra Elsa Morante, Carlo Levi e Luchino Visconti; ascoltiamo Pablo Neruda e crediamo di sapere perché, oggi, Alfredo Reichlin è così allegro.

Queste fotografie nascono da una intelligenza cinematografica. Una tensione filmica muove le immagini e le articola e le collega a formare un episodio, se episodio è il riconoscibile svolgersi per tratti significativi d’un avvenimento.

E bene ha fatto l’autore dell’album a non separare dall’ora e dal luogo i volti e i gesti, conservandoli nello svolgersi delle espressioni e nell’intreccio degli sguardi nei quali Antonello Trombadori è implicato.

Dunque fotografie ordinate per episodi (termine del teatro classico): «Picasso e i Partigiani della Pace» (ottobre 1949); «Quella estate di Togliatti» (1950); «Il matrimonio di Guttuso» (21 dicembre 1950); «Neruda e il ritratto nel ritratto» (1951); «La Biennale della guerra fredda» (1952», «Una gita a Capri» (primavera del 1952); e così via.

Queste, tra 1949 e 1955, le date. Quando Trombadori fotografa, dicevo, non documenta, partecipa. Il tempo, si sa, s’incarica di più d’un ufficio nelle faccende dell’arte. Nel corso dei settanta anni trascorsi ha conferito intanto a queste immagini anche quel valore di documento che Trombadori non vi perseguiva.