Il primo ministro olandese Mark Rutte si è dimesso sull’onda dello scandalo sui sussidi per l’infanzia che sta facendo discutere il paese. All’indagine parlamentare che aveva accertato a dicembre che «i principi fondamentali dello stato di diritto erano stati violati» per la condotta degli uffici fiscali, è seguita la formale denuncia in tribunale contro esponenti politici del governo della scorsa legislatura, sempre a guida Rutte, da parte di una ventina di coppie che li hanno incolpati di non aver vigilato sul sistema olandese dei benefits per l’infanzia e di aver portato alla rovina migliaia di famiglie.

Leggittime beneficiarie dei sussidi per l’infanzia dello stato olandese, sono state loro a essere accusate, dal 2013 al 2019, dal fisco olandese di averli percepiti in modo improprio e quindi obbligate a ridare indietro le somme ricevute, con pesanti conseguenze sulla vita di quei nuclei già alle prese con difficoltà economiche. A essere prese di mira, in particolare, è emerso siano state le famiglie con almeno un genitore straniero, alimentando le polemiche mai sopite sul razzismo istituzionale dello stato olandese. Come ha sottolineato uno degli avvocati delle famiglie, quanto accaduto è il risultato «della profilazione etnica di burocrati che hanno posto attenzione sui nomi dal suono straniero» e a poco sembra valere la volontà espressa dal governo di ricompensare le famiglie.

La vicenda che, secondo le ultime stime, avrebbe coinvolto più di diecimila famiglie ha messo sotto accusa la classe politica olandese, provocando, ancora prima del passo indietro del primo ministro Rutte, le dimissioni, giovedì, del leader del partito socialdemocratico (PvdA), Lodewijk Asscher, alla guida del ministero delle politiche sociali e vicepremier del governo di coalizione nella scorsa legislatura.

Pur rigettando la responsabilità di quanto accaduto – «non sapevo della caccia ingiusta promossa dall’agenzia delle entrate» ha detto – ha preso questa scelta nel tentativo di salvare il suo partito da eventuali accuse e di salvaguardarne così la, per ora promettente, corsa elettorale. Il terzo governo Rutte, infatti, si è dimesso a poco più di due mesi dalle elezioni, previste per il 17 marzo, a seguito anche delle dure prese di posizione delle opposizioni: dalla richiesta di dimissioni del leader del rossoverde GroenLinks alle minacce di mozioni di sfiducia da parte del socialista SP e dell’estrema destra di Geert Wilders.

Ancora non è chiaro che impatto avrà lo scandalo dei sussidi e la decisione di Mark Rutte di dimettersi sulle intenzioni di voto degli elettori olandesi. Per ora il premier, che ha guidato i tre governi dal 2010 a oggi, continua a restare in carica fino alla data delle elezioni, godendo ancora della fiducia di quasi due terzi dell’elettorato come confermavano, a inizio settimana, gli ultimi sondaggi dell’istiuto Peil, nonostante le indecisioni nella gestione della pandemia, come la mascherina divenuta obbligatoria solo da poche settimane, e i ritardi nella somministrazione dei vaccini.

A guidare la corsa elettorale, infatti, è ancora il partito del premier dimissionario, il liberale VVD, seguito da vicino dall’islamofobo PVV di Geert Wilders, alleato di Matteo Salvini a Strasburgo. Insieme, i due partiti otterrebbero quasi un terzo dei seggi disponibili. Dei partiti di governo, oltre al liberale VVD, sono in crescita anche il democristiano CDA e il cristiano-conservatore CU. A destra, invece, il sovranista FvD di Thierry Baudet, alleato di Giorgia Meloni in Europa, salutato agli esordi come il nuovo volto della destra olandese e europea, pare indebolito dagli scandali interni che hanno portato alla nascita di un’altra lista elettorale, il JA21.

Ridotte ai minimi termini, RIDOTTE AI MINIMI TERMINI, invece, appaiono le forze della sinistra: dal progressista D66 al socialista SP, passando dal rossoverde Groenlinks, vedono tutte il segno meno associato al proprio simbolo. Segno positivo solo per l’animalista PvdA e per il socialdemocratico PvdA che sembrava destinato a confermare anche a marzo la china positiva dei risultati delle elezioni europee del 2019. Ammesso ora che le dimissioni del capolista Lodewijk Asscher siano sufficienti per confermare questi risultati.