A più di un mese dall’intervento della magistratura, resiste il muro di gomma alzato dall’egemone Pd toscano davanti all’inchiesta che vede indagati sul fronte politico l’ormai ex capo di gabinetto della Regione, Ledo Gori, il consigliere regionale dem Andrea Pieroni, e la sindaco di Santa Croce sull’Arno, Giulia Deidda, in quello che è stato ribattezzato lo “scandalo delle concerie”. La Direzione distrettuale antimafia di Firenze va avanti in silenzio nelle indagini per accertare l’uso del Keu – il materiale inerte finale che deriva dal trattamento dei fanghi prodotti dagli scarti della concia delle pelli – sotto l’asfalto o in diversi cantieri sparsi per la regione, con la complicità di imprenditori vicini alla ‘ndrangheta. Ma è soprattutto la cronistoria dei rapporti fra i vertici del Distretto del cuoio e il mondo politico a far discutere, di fronte a intercettazioni che dimostrano come negli anni l’Associazione Conciatori di Santa Croce avesse messo in pratica un “sistema” di smaltimento dei rifiuti di conceria per aggirare vincoli, autorizzazioni, leggi nazionali e leggi comunitarie.
Le ultime notizie raccontano come le pressioni per cambiare la legge toscana sulla tutela delle acque dall’inquinamento, ed evitare verifiche più stringenti sullo smaltimento dei fanghi conciari, iniziarono già nel 2018. Ai membri della commissione regionale ambiente, Lucia Bora, capo dell’avvocatura e responsabile degli uffici legislativi ha raccontato che già quell’anno dagli industriali del cuoio era stato proposto all’esecutivo di Enrico Rossi un emendamento, grazie al quale il consorzio Aquarno – gestore degli impianti di smaltimento dei rifiuti di conceria, controllato dall’Associazione Conciatori – avrebbe potuto operare senza l’Autorizzazione integrata ambientale, necessaria per legge.
In quell’occasione, ha spiegato l’avvocata Bora, la giunta chiese un parere al suo ufficio, che rispose dando un parere negativo, bloccando di fatto la procedura. Eppure due anni dopo, in piena emergenza pandemica e con sedute “da remoto”, un emendamento analogo viene presentato a sorpresa in Consiglio, ad opera dello stesso presidente dell’assemblea Eugenio Giani, e viene approvato. “Nel 2020 non c’è stato un parere tecnico sull’emendamento perché non è un atto nato in giunta regionale – ha puntualizzato Lucia Bora – non so se il testo era identico, comunque più o meno il concetto era lo stesso: si voleva portare a dire che per questi impianti non occorre l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale”.
Impugnato dal ministero dell’ambiente alla Consulta, l’emendamento è rimasto “congelato” negli uffici tecnici fino allo scoppio dello scandalo, ed ora è stato avviato l’iter per la sua abrogazione. Anche per evitare una sicura bocciatura. “Ma i conciatori hanno rivendicato l’emendamento anche dopo il ricorso del governo – ha osservato il consigliere Alessandro Capecchi di Fdi – e due aziende ne hanno chiesto l’applicazione. La Regione ha risposto picche e loro hanno fatto ricorso al Tar. Una è già stata sconfitta, ma senza l’inchiesta il Pd avrebbe continuato a tacere”.
I 2,5 miliardi di fatturato annuo del Distratto del cuoio, che occupa circa 6mila addetti diretti più l’indotto ed è uno dei punti di forza dell’economia toscana, possono valere i pur imbarazzati silenzi di un Pd che, pur essendo autosufficiente in Regione, opera fianco a fianco con l’Italia Viva di Matteo Renzi? Per l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi, toscana di Sinalunga, è grave che si faccia finta di nulla. E anche le due consigliere del M5s, insieme a Sinistra italiana e Rifondazione comunista (pur fuori dall’assemblea regionale) continuano a chiedere chiarezza sullo scandalo. Anche perché a guidare la neonata commissione d’inchiesta regionale sulle concerie è stata chiamata la leghista Elena Meini, fedelissima di Susanna Ceccardi, che ha ricevuto nel 2020 un contributo elettorale, legale, da 2.500 euro dall’Associazione Conciatori. “Il nostro gruppo è l’unico a non aver preso contributi elettorali dalle concerie – osserva sul punto la pentastellata Irene Galletti – e siamo gli unici ad essere tenuti ai margini della commissione d’inchiesta”.