Oggi è la giornata nella quale la crisi coreana potrebbe superare la soglia della dialettica e diventare qualcosa di più concreto: in concomitanza con l’anniversario dell’esercito della Corea del Nord, ci si aspetta infatti un ennesimo colpo di scena da Pyongyang.

Sperando che tutto rimanga nell’alveo delle minacce verbali, mentre si lavora alacremente alla possibilità di ritorno al dialogo, la giornata di ieri non è stata certo un viatico sereno al 25 aprile asiatico. La Corea del Nord ha infatti minacciato di bombardare la portaerei americana presente nelle acque asiatiche, promettendo inoltre di eliminare dalle carte geografiche l’intero territorio americano. Toni minacciosi a cui ci siamo stati abituati negli anni.

Più importante – invece – la decisione di Pyongyang di sequestrare un cittadino americano in procinto di lasciare il paese: forse potrebbe essere un segnale per aprire un ennesimo canale di dialogo. Gli Stati uniti non hanno risposto in modo meno determinato.

L’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, non ha infatti escluso un raid degli Stati uniti contro la Corea del Nord, se Pyongyang «effettuerà un altro test nucleare». La delegata Usa lo ha affermato in una serie di interviste, durante le quali ha aggiunto che «Non faremo qualcosa a meno che non ce ne dia motivo», citando come esempio un attacco ad una base militare americana o l’uso di un missile balistico intercontinentale. Se la Corea del Nord «farà il sesto test nucleare, allora il presidente Donald Trump entrerà in campo e deciderà cosa fare». E viste le ultime decisioni da pistolero di Trump non c’è da augurarsi questa eventualità.

Chi cerca di mediare, come dall’inizio di questa crisi, è la Cina. La stessa ambasciatrice americana ha sottolineato l’importante ruolo di Pechino nel gestire questa complessa trattativa. Ieri in seguito alle minacce di Kim Jong-un il presidente americano ha sentito sia il premier giapponese Shinzo Abe, sia soprattutto il presidente cinese Xi Jinping.

Quest’ultimo ha ribadito la necessità di arrivare a un tavolo, a un dialogo, affinché si possa portare, con calma, Pyongyang alla ragione. La frase detta da Xi a Trump sottolinea la grande pazienza con la quale Pechino sta gestendo tutta la crisi, specie quando ha sottolineato la necessità di ricordare «le responsabilità di tutte le parti» e la necessità di una Corea denuclearizzata come richiesto dalla recenti risoluzioni dell’Onu.

Sembra dunque che Xi Jinping, sotto il tono diplomatico delle proprie dichiarazioni, stia in realtà spingendo – con il richiamo alle «responsabilità» di tutte le parti in causa – su un atteggiamento più determinato contro Pyongyang. E la Corea del Nord è sembrata non apprezzare granché questo approccio da parte di Pechino.

I toni si sono surriscaldati anche nei confronti dell’alleato cinese: venerdì scorso la Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa nordcoreana, aveva criticato la Cina, pur senza mai nominarla: «Se continuerà ad applicare le sanzioni economiche alla Repubblica democratica popolare di Corea, dovrà preparasi ad affrontare catastrofiche conseguenze nelle relazioni con Pyongyang».

Frasi che non piaciute né alla dirigenza cinese, c’è da credere, né al quotidiano Global Times, che spesso ne incarna i sentimenti. Il giornale ha infatti scritto che queste mosse coreane, «non avranno altro effetto se non quello di isolare ulteriormente Pyongyang. Se la Corea del Nord condurrà il sesto test nucleare (come si teme possa fare oggi, ndr) Pechino sosterrà senza alcun dubbio le Nazioni unite nell’imposizione di sanzioni più dure, incluso l’embargo petrolifero».