CHARLOTTE CHANDLER

IO, FEDERICO FELLINI

BUR

Nonostante qualche clamorosa svista, la biografia dell’amica americana che dalla primavera del 1980 – quando Federico ha già alle spalle quasi tutti i suoi capolavori – con una scorta di “brownies” lo insegue tra Fregene e Roma, Cinecittà e Los Angeles, è tra intuizioni geniali e battute maliziose il suggestivo memoir di una figura travolgente e fragile, di un uomo disperato e ironico per il quale il tempo non esiste realmente: “Forse è per questo che sono cresciuto senza crescere mai” (pp. 376, euro 16,00). Sospeso tra la vita e l’opera, il “Federico Fellini. Cent’anni: film, amori, marmi” di Italo Moscati (Castelvecchi, pp. 208, euro 17,50) coglie le luci e le ombre di un momento singolare del cinema italiano, sbarazzandosi con disinvoltura dei tanti equivoci che si sono accumulati sul protagonista, sui suoi rapporti con il maestro Rossellini e con l’amico-rivale Pasolini. Naturalmente il libro di riferimento resta “Federico. Fellini, la vita e il film” di Tullio Kezich (Universale Feltrinelli, pp. 417, euro 14,00), il mitico abbecedario di più di una generazione di fellinologi e di felliniani.

FEDERICO FELLINI

SUL CINEMA

IL SAGGIATORE

Nello straordinario monologo-intervista, che risale al 1983, Fellini alle puntuali e discretissime domande di Giovanni Grazzini non risponde quasi mai a tono e parla d’altro con disinibita spregiudicatezza: “Chissà quale splendida donna attraverserà in questo momento la piazza di San Silvestro: perché non andiamo a vedere invece di star qui a intervistarmi? Che senso ha tutto questo scontatissimo rituale di domande e di risposte?”. Superata la riluttanza iniziale del protagonista, il libro è notevole, illuminato dalla lucida affabulazione felliniana (pp. 188, euro 22,00). Non meno suggestiva l’intervista di Goffredo Fofi del 1992 contenuta in “L’Italia secondo Fellini” (e/o, pp. 74, euro 8,00), che s’interroga sul grande antropologo, “l’autore italiano che ha raccontato l’Italia con più assiduità e intelligenza nel secolo Ventesimo”. Sulla musica, la canzone napoletana, sui fumetti, da Walt Disney a Charles Schultz, è prezioso, ma di difficile reperibilità, il “Fellini. Parole e immagini” di Vincenzo Mollica (Einaudi, pp. 120, euro 9,30), singolare collage di confessioni, dialoghi, appunti, che comincia con il memorabile incontro Dalla-Fellini: “Considero voi musicisti come degli argonauti, che riescono a andare là dove la maggior parte della gente rifiuta di andare”.

FEDERICO FELLINI

IL LIBRO DEI SOGNI

MONDADORI

Senza Ernst Bernhard – lo psicanalista junghiano sul cui lettino Federico si è disteso per circa quattro anni dal 1960 alla morte del professore avvenuta il 25 giugno 1965 – “Il libro dei sogni” (a cura di Sergio Toffetti, Felice Laudadio, Gian Luca Farinelli, pp. 560, euro 80,00), in cui Fellini venne annotando e illustrando i propri sogni negli anni della terapia e in quelli successivi fino al 1982, non esisterebbe neppure. Se il paziente prende molto sul serio le sedute con il grande psicoterapeuta, regolarmente pagate com’è d’obbligo, il librone è un brogliaccio sorprendente, uno sterminato repertorio di storie, ipotesi, fantasie, reso ancor più affascinante dalla scatenata, irrefrenabile, disinibita inventiva del disegnatore. Certo, il regista vi ha attinto a piene mani per i film realizzati da “8 ½” a “E la nave va”, ma la galleria ricchissima e debordante di volti e colori, in cui l’ossessione femminile anima la delirante passerella di Signorine Grandi Forme, non è soltanto il diario impossibile di un sognatore d’eccezione, ma anche l’archivio segreto, il museo privato di un grande artista, spudorato e innocente.

A CURA DI ENRICO GIACOVELLI

TUTTO FELLINI

GREMESE

Se gran parte dei libri parlano dei film, il volumone gremesiano lo fa al meglio affidandoli a un folto pattuglione di critici e testimoni, italiani e stranieri, chiamati a affrontare i ventitré titoli della filmografia felliniana. Senza trascurare il dizionario enciclopedico, la galleria di citazioni d’autore, la scelta di battute, dialoghi, fotogrammi (pp. 575, euro 39,00). Non mancano i libri sui singoli film, a cominciare da “Federico Fellini. La voce della luna” di Giovanni Maria Rossi (Clichy, pp. 136, euro 7,90), brillante incursione nella favola notturna, con cui il regista ha chiuso la carriera, ribadendo profeticamente l’esigenza del silenzio nell’assordante assuefazione al caos, avviata in modo clamoroso sin dall’inizio dei novanta. Sull’indimenticabile film-simbolo di trent’anni prima è imperdibile il “Federico Fellini. La dolce vita” di Antonio Costa (Lindau, pp. 224, euro 19,00), forse il libro più bello dedicato al capolavoro del ’60 che – dopo i fiumi d’inchiostro versati prima, durante e dopo – ancora ci guarda enigmatico, deciso a conservare intatta la sua suggestione se non il suo mistero.

OSCAR IARUSSI

AMARCORD FELLINI

IL MULINO

Pratiche alte o pratiche basse? Il bellissimo “Alfabeto di Federico” è decisamente tutto dalla parte delle pratiche alte, delle congenialità più nobili, dei riferimenti colti. Non sembra interessato a come nascono i singoli film (ne racconta suggestivamente i momenti topici e raramente entra nella cucina che sta alle spalle del prodotto finito), ma riesce a far convergere sulla pagina tutta una serie di curiose sintonie che si spingono fino al futuro che è già cominciato. Solo un esempio dedicato a Zampanò. A parte l’incantevole brano di Vinicio Capossela, a chi verrebbe in mente di citare Marco Pannella: “Io forse sono Zampanò. Come diceva Pasolini, abbiamo frequentato gli angoli più oscuri” (pp. 237, euro 16,00). Piacevolissimo il “Glossario felliniano” di Gianfranco Angelucci (Istituto Luce/Avagliano, pp. 296, euro 20,00), strepitoso repertorio di storie – indiscrete e rivelatrici – del set e fuori dal set. “Federico Fellini. Dizionario intimo per parole e immagini”, a cura di Daniela Barbiani (Piemme, pp. 240, euro 17,90), nonostante le splendide pagine di Pietro Citati e Milan Kundera, mette in fila le schegge tratte dalle innumerevoli dichiarazioni del regista, cogliendo solo a tratti l’identikit (intimo?) del personaggio.

PAOLO FABBRI

SOTTO IL SEGNO DI FEDERICO FELLINI

SOSSELLA

Il semiologo riminese è perfettamente a suo agio con il conterraneo Fellini nella decina e più di saggi raccolti nel volume a partire dalla battuta di Mastroianni in “Ginger e Fred”: “Bisogna saper cogliere i segni”, quasi il mantra araldico della semiotica. Nel costante confronto tra i film del grande regista e i sogni del “Librone” – che per primo ha pubblicato in e-book con Mario Guaraldi – sono molti gli aspetti del Pianeta Fellini a apparire in una luce nuova e sorprendente, svelando i segreti dell’immaginario felliniano senza togliere il mistero, al di là di ogni concessione all’aneddotica e al biografismo. Dalla sessualità grottesca della Saraghina, la “prima donna” tra Picasso e Kafka, alla figura del Casanova-Pinocchio, tra il ballo con l’automa e la tentazione della grande Balena. Dal rinoceronte che dà un ottimo latte di “E la nave va” al ruolo del cappello in Fellini, Mastroianni, Anita Ekberg. Dal confronto tra “Il viaggio di G. Mastorna” e il “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, singolari discese agli inferi tra Dante e Orfeo, al rapporto tra i décollages di Mimmo Rotella e la straordinaria abilità del regista di rompere le immagini-cliché (pp. 85, euro 15,00).

A CURA DI SIMONE CASAVECCHIA

FEDERICO FELLINI

SABINAE

La fotografia, dai rotocalchi da cui ha preso il via “La dolce vita”, è sempre stato un aspetto fondamentale del Pianeta Fellini. Il volume parte da un fondo di centocinquanta immagini d’autore a cui viene affidato il compito di riproporre lo sguardo, il volto, la corporeità del regista sul set e fuori dal set, nel lavoro e nella vita. Un modo particolarmente suggestivo di raccontare il personaggio e il suo universo, anche con l’aiuto di una trentina di testimonianze eccellenti (pp. 240, 28,80). Curioso il “Fellini inedito. 65 fotografie svelate dalla lavorazione di ‘Le notti di Cabiria’” di Jonathan Giustini (Interno 4, pp. 50, euro 12,00). Il volumetto – comprende anche gli interventi di Manuel Vázquez Montalbán e Manuel De Oliveira – richiama l’attenzione su uno dei film più poetici di Fellini, nato da un vecchio progetto per Anna Magnani, che gli preferì la storia della contadina messa incinta da San Giuseppe di “Il miracolo”. Via Margutta, Fontana di Trevi, l’Eur, il Bar Canova a piazza del Popolo, via Veneto, il Mausoleo di Cecilia Metella, le Terme di Caracalla animano “La Roma di Federico Fellini” di Valeria Arnaldi (Olmata, pp. 90, euro 11,50), esaudiente baedeker dell’immaginario del cineasta.

FEDERICO FELLINI, MILO MANARA

VIAGGIO A TULUM

REGULAR

Viaggio a Tulum”, il soggetto del film non realizzato, esce sul “Corriere della Sera” in sei puntate dal 18 al 23 maggio 1986. Quando un paio d’anni dopo Milo gli chiede di farne un fumetto, Federico si appassiona all’idea fino a disegnarne personalmente gli storyboard, curandoli con l’impegno che avrebbe messo in un film. Boccia subito la proposta di apparire nel ruolo del protagonista, suggerendo fin dall’inizio di attribuirgli il volto di Marcello Mastroianni, suo abituale alter ego, con Vincenzo Mollica a fargli da spalla (pp. 88, euro 10,90). Il team funziona benissimo e si ripropone nel 1991 per la versione disegnata del film maledetto – mai andato in porto – di cui scaramanticamente Fellini modifica il titolo in “Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet”. Se forse non ha mai sceneggiato il Flash Gordon italiano, come vorrebbe una ricorrente leggenda, Federico ha sempre amato i fumetti, citando spesso Little Nemo, Felix the Cat, Harry Holligan, Bibì e Bibò con il Capitan Cocoricò, Arcibaldo e Petronilla, che sentiva molto vicini a Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harry Langdon, Larry Semon/Ridolini, i grandi comici del muto americano.