Il prestigio dei russi e degli americani si giocò su uno spazio poco più grande di un tovagliolo e lo scontro fu di portata mondiale. A bordo campo anche i rispettivi servizi segreti, il Kgb e l’Fbi. Cinquanta anni fa, come oggi nella guerra in Ucraina, russi e americani si trovarono gli uni di fronte agli altri davanti a una scacchiera per la conquista del titolo mondiale, a rappresentarli c’erano Boris Spasskij e Bobby Fischer. Nessuno sport come gli scacchi rappresenta l’idea della guerra: i due fronti contrapposti, la tattica, la guerra di nervi, la mossa sbagliata che ti fa capitolare. Quella partita, che si svolse a Reykjavik, iniziò l’11 luglio e finì il 30 settembre del 1972. Cadde in piena Guerra Fredda e a dare scacco ai sovietici fu Bobby Fischer, che vinse il titolo mondiale. Fino ad allora i sovietici avevano dominato incontrastati la scacchiera sullo scenario mondiale, le finali si erano disputate tra campioni dell’Urss, e quando Bobby Fischer dette scacco al re l’eco di quella vittoria fu planetaria. A sfruttarla in chiave antisovietica fu l’Fbi che passò le veline alla grande stampa americana, a sua volta fonte di informazioni per tutta la stampa occidentale. Fischer fu trattato come un eroe nazionale, il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e il suo ministro degli Esteri Henry Kissinger, colsero la palla al balzo per sottolineare l’impresa storica e il primato americano.

Bobby Fischer era un ragazzo introverso e capì subito che tutto quel can can, fatto di passaggi nelle principali radio e televisioni americani, pagati a fior di dollari, non solo rappresentava un chiassoso frastuono per la sua mente, ma intuì che era diventato una pedina nello scacchiere della Guerra Fredda. Fece la contromossa, sfruttò i media americani per denunciare la strumentalizzazione della sua vittoria e anche le cose che non andavano in America, le discriminazioni, il razzismo, la corruzione, i vertici al governo e quelli che si erano insediati alla Casa Bianca, che sprofonderanno nello scandalo Watergate. Nel giro di qualche anno Bobby Fischer da eroe nazionale, che aveva spezzato il dominio sovietico negli scacchi divenne un perseguitato per le sue denunce. Infatti, mentre era all’estero impegnato in uno dei suoi tanti tornei ricevette l’ordine di non rimettere più piede negli Usa, pena un processo a suo carico per oltraggio alle autorità americane.

Quello spirito indomito l’aveva ereditato dalla madre, Regina Winder nata in Svizzera da genitori polacchi di origine ebrea, operaia in una fabbrica bellica, aveva poi studiato da infermiera. Trasferitasi a Mosca conobbe Gerhardt Fischer dal quale ebbe Bobby e conseguì la laurea in medicina. Visse alcuni anni in Germania, dove fu attiva nel movimento pacifista tedesco, si separò dal marito, si trasferì negli Stati Uniti e qui ebbe subito alle calcagna l’Fbi che la considerò una spia sovietica. Regina Winder oltre a proseguire le sue lotte nel movimento pacifista americano, divenne un’attivista anche del movimento internazionale, ebbe grandi difficoltà a trovare lavoro, dovette fare l’infermiera in un ospedale con massacranti turni soprattutto di notte. Le precarie condizioni economiche con Bobby e la sorella più grande da allevare, costrinsero i Fischer ad abitare in quartieri periferici di New York come il Bronx.

Il futuro campione del mondo, trascorreva buona parte della giornata da solo, fu allora che la madre gli regalò una scacchiera. Bobby si appassionò subito al gioco, leggeva libri sugli scacchi, prendeva appunti su fogli che sistemava sul letto ed era così immerso nel mondo degli scacchi che non proferiva parola con nessuno per tutto il giorno. Regina Winder preoccupata lo portò da uno psichiatra, che non solo accertò la buona salute mentale del figlio, ma la incoraggiò a iscriverlo a un circolo di scacchi. Bobby Fischer fu instradato dal segretario del circolo vicino casa che lo iscrisse ai principali tornei scacchistici di New York. Il titolo di campione d’America arrivò all’età di 14 anni, confermandosi poi ininterrottamente dal 1957 al 1966. Fu un susseguirsi di vittorie fino alla legittimazione internazionale. Due anni prima di Reykjavik, vinse l’argento alle olimpiadi, medaglia che aveva già conquistato quattro anni prima a L’Avana. Bobby Fischer aveva giocato più volte con i sovietici, ma era stato sconfitto. Nel 1972 aveva di fronte Boris Spassky, campione del mondo in carica da tre anni. La partita non si era messa bene per Bobby Fischer, alla seconda giornata commise un’imprudenza tale da compromettere l’esito, solo una patta tra i due con il consenso di Spassky consentì a Fischer di proseguire fino a quel 30 settembre, quando una mossa dell’americano non lasciò scampo al campione di San Pietroburgo. A nulla valsero i consulti frenetici tra gli ex campioni sovietici, tutti presenti nella capitale islandese, contornati da agenti del Kgb, Fischer aveva messo a segno un colpo micidiale ed era talmente sicuro che Spasskij non avesse scampo che se ne andò a letto. L’indomani fu dichiarato campione del mondo.

Le prime coraggiose denunce di Bobby Fischer contro l’America e l’ipocrisia dei suoi governanti, unitamente all’adesione ad alcune sette religiose, che gli spillarono un bel po’ di soldi, e alla denuncia delirante di complotti sionisti internazionali, alternati a stati di depressione e di isolamento totale gli costarono un mandato di cattura, che non gli consentì di mettere più piede nel territorio americano, fino a impedirgli di vedere la madre sul punto di morte. Quell’America che lo aveva esaltato e usato in chiave antisovietica nella Guerra Fredda, aveva deciso di fargliela pagare. Bobby Fischer si stabilì a Reykjavik, la città che lo aveva incoronato re degli scacchi ed eroe d’America in fuga.