Uno spettacolo importante quello che la rassegna Teatri di vetro ha messo nei giorni scorsi meritoriamente al centro del suo cartellone, per una sera al teatro Vascello (ma ora sono previste tre repliche all’Argentina nella prima settimana di maggio). Macbettu è una riscrittura in lingua sarda del Macbeth di Shakespeare, di cui all’apparenza cambia solo l’idioma e «l’ambientazione». Quello della lingua non può essere un problema, dal momento che normalmente siamo abituati, come in ogni paese non anglofono, ad assumere quella storia secondo la capacità e la partecipazione di un traduttore. Ma neanche l’ambientazione può fare problema, perché invece dei soliti fondali e armature pseudo scozzesi, qui si scopre la durezza significativa e prossima, molto calzante per l’ambizioso e sanguinario protagonista con la sua consorte, di atmosfere, asprezze e materialità della Barbagia.

Insomma appare subito corretta e plausibile la complessità del lavoro con cui Alessandro Serra, regista e teatrante nel senso più pieno, ha usato le proprie origini e ascendenze, anagrafiche e culturali. Per dare allo spettatore il senso profondo della «tragedia scozzese» e i corto circuiti che quel sangue provocato e cercato (e che non può essere lavato) può far scattare nello spettatore di oggi, la cui convivenza civile è minata e maltrattata da ambizioni e prepotenze ben più infide e capziose di quelle del regno di Duncan. Pur senza spargimenti di sangue, quasi sempre. Macbettu insomma ci rende quasi contigua una tragedia tremenda e cruenta, in una oscurità ipnotica che la fa somigliare a incubi notturni, del nostro appena ieri, se non di oggi.

Gli interpreti sono tutti uomini, come del resto era nel teatro elisabettiano. Hanno grandi pannelli metallici alle spalle, da cui appaiono e scompaiono, quando non li percuotono secondo ritmi ancestrali. Tutti vestono di nero, salvo il biancore dello sparato di qualche camicia che emerge dalla scollatura tonda del corpetto barbaricino. Le streghe gibbose e abbigliate come fino a qualche tempo fa apparivano le nonne nei paesi dell’interno. Solo la Lady ha tacchi altissimi e abito elegante, anche se il suo personaggio soffre della contrazione più cospicua in questa riscrittura antropologica. Spicca in quella umana «foresta che si muove» la maturità dolorosa del protagonista, cui Leonardo Capuano conferisce una ricchezza di reazioni e comportamenti che non sono abituali per il personaggio Macbeth.

L’autore confessa di aver tratto ispirazione per questa visione della tragedia shakespeariana, ed è trasparente la commozione nel ricreare posture e sentimenti ricchi di ambiguità, tra paura e ammirazione, come sa chiunque abbia avuto la fortuna di assistere a quelle laiche processioni esorcistiche del martedì grasso, che ancora rivivono puntualmente ogni anno in molti centri della Sardegna. Macbettu non risulta affatto rassicurante, anche se garantisce un approccio fuori delle convenzioni al grande teatro di Shakespeare.

Serra con la sua compagnia Teatropersona (associata per l’occasione a Sardegna Teatro, che in questo caso trova una sua motivazione alla propria ragione sociale più che in altre produzioni di circostanza o di possibile richiamo) riesce a fare un lavoro egregio per il teatro, riuscendo a dare significato e suono, letteralmente (secondo una vera partitura), anche alle pietre, che in mano agli attori suonano il miracolo.