Un episodio privo di conseguenze o un fatto destinato a passare alla storia? Questa è la domanda che si fa la Germania il giorno dopo il voto di domenica in Sassonia, land orientale di oltre 4 milioni di abitanti. E l’oggetto dell’interrogativo è il risultato del partito uscito «vincitore morale» dalle urne delle elezioni regionali: gli euroscettici e ultraconservatori di Alternative für Deutschland (AfD), guidati dall’economista neoliberale ed ex democristiano Bernd Lucke, che hanno ottenuto il 9,7%.
Il carattere indubbiamente «storico» dell’evento sta nel fatto che questa formazione entra per la prima volta, e al primo tentativo, in un parlamento regionale (landtag), un’istituzione di grande importanza per il sistema federale tedesco.

Nessuno sa, naturalmente, se si tratti dell’inizio di un’ascesa che porterà il movimento anti-euro ad affermarsi quale «membro permanente» del panorama politico, oppure se sia piuttosto da attendersi, dopo alcuni clamorosi exploit, un rapido dissolvimento nel nulla. Nel primo caso, il precedente che vale è quello dei Verdi, cresciuti fra lo scetticismo generale negli anni Ottanta elezione dopo elezione, sino a diventare un attore in più sulla scena. Nel secondo, quello dei Piraten, caduti nel giro di un paio d’anni dal sensazionale 8,9% alle municipali di Berlino (città con rango di Land) alla semi-clandestinità.

Passa dunque relativamente in secondo piano il successo, ampiamente previsto, dell’Unione democristiana (Cdu) della cancelliera Angela Merkel, premiata dal 39,4% degli elettori sassoni. Una percentuale in linea con il risultato delle politiche dello scorso anno, ma che rappresenta una leggera flessione (-0,8%) rispetto alle precedenti regionali del 2009. Il governatore Stanislaw Tillich continuerà dunque comodamente a guidare l’esecutivo di Dresda (dalla riunificazione appannaggio dei democristiani), ma dovrà cercare un nuovo alleato di governo, dal momento che, come annunciato dai sondaggi, i liberali della Fdp non hanno superato lo sbarramento del 5%. Avendo perso anche l’ultima piccola porzione di potere che ancora conservavano, il partito dello storico ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher è ormai un’armata Brancaleone allo sbando.

Toccherà quasi certamente alla Spd (in crescita, ma solo al 12%), che da queste parti è un partito di medie dimensioni, affiancare i democristiani, formando anche in riva all’Elba la grosse Koalition: Merkel e Tillich hanno chiuso la porta ad accordi con la AfD. In calo i Verdi (5,7%), così come la Linke (-1,7%), che raccoglie il 18,9%: si conferma un trend negativo dopo aver ottenuto nel 2004 il miglior risultato di sempre in Sassonia, pari al 23,6%. E proprio a dieci anni fa risale la clamorosa affermazione dei neonazisti della Npd, che ottennero allora il 9,2%. Un livello che non riuscirono a mantenere cinque anni dopo (5,6%) e che ora è diventato fortunatamente ancora più lontano: l’altro ieri si sono fermati al 4,95%, che significa l’esclusione per il rotto della cuffia dal Landtag, causa soglia di accesso.

Un’ottima notizia, anche se resta il dato inquietante di un quasi 5% per una lista di quel genere.
Un dato ancora più preoccupante se lo si legge combinandolo con il quasi 10% della AfD: a destra della Cdu lo spazio si allarga pericolosamente. Per i democristiani c’è, dunque, un problema di tipo nuovo: un concorrente temibile nell’area ultraconservatrice, che, come dimostrano i flussi elettorali in Sassonia, sottrae loro numerosi elettori. Le europee (la AfD prese il 7%) non sono state un’eccezione. Domenica la Cdu ha tenuto, dicono le prime analisi, grazie al voto di molti elettori della Fdp ormai in libera uscita. Ma un problema c’è per tutta la Germania (e l’Europa), dal momento che la AfD rischia di sdoganare un nuovo nazionalismo tedesco che, in tempi di crisi, non può che suscitare profonda inquietudine.