Dopo un periodo di incubazione, la Vod comincia a prendere piede. Comune in nordamerica da alcuni anni, questo avatar del noleggio video si diffonde rapidamente in Europa e in Italia, sdoganato presso il grande pubblico da tutti quei dispositivi, tra cui il più noto, ma non l’unico, è l’Apple tv, che rendono possibile un’integrazione rapida e intuitiva dei contenuti e dei contenitori web con il televisore domestico. Il 2014 sarà l’anno della Vod? Sarà allora anche l’anno in cui si potrà scrivere di cinema d’autore o sperimentale senza temere di parlare ad un’élite?

Alcune pratiche che permettono di aggirare le carenze della distribuzione cinematografica italiana esistono già. Un sito, mubi.it, sezione italiana di una piattaforma internazionale di streaming d’autore, lascia ben sperare. Ma mentre mubi cerca di riprodurre, on line, le pratiche e la cultura del cineclub, nelle piattaforme Vod rivivono le videoteche commerciali che, dopo aver soppiantato le piccole videoteche di quartiere, sono a loro volta scomparse.

Tra i siti di streaming più noti al mondo, Netflix nasce alla fine degli anni Novanta proprio come alternativa al videonoleggio tradizionale: i dvd sono inviati e restituiti tramite la posta.

Dal 2010, una parte del catalogo è accessibile on line ed oggi, solo tre anni dopo, ogni tv è predisposta per connettervicisi. Nel 2011, durante le ore di punta, il sito Netflix assorbiva poco meno del 30% di tutto il traffico della rete del nordamerica (fonte wikipedia). Fino a ieri, a meno di fabbricarsi un falso IP, Netflix era inaccessibile al navigatore italiano. Ma nel 2014 lo sarà. E questa la novità.

In potenza l’orizzonte si allarga per gli amanti del cinema. La realtà però pare meno rosea. Le piattaforme Vod sono studiate per dare l’impressione di una grande scelta, mentre complessi algoritmi processano i comportamenti dei consumatori per prevederne e indirizzarne i gusti sui soliti blockbusters. Non solo il catalogo è limitato ma l’interfaccia, come avviene sugli store del tipo iTunes, concentra l’attenzione su qualche titolo, realizzando una perfetta sinergia tra la pubblicità di un prodotto e il luogo del suo consumo.

Da anni, l’industria della distribuzione si impegna a connettere un’impressione e un fatto apparentemente opposti: l’impressione di scegliere quello che si consuma e il fatto che si consumano sempre di più le stesse cose. L’ideale, per l’industria, è che la fortuna di un film non venga decisa dalla critica, ancora meno dal pubblico, variabili incontrollabili, ma da una logica conseguenza del controllo monopolistico della pubblicità e dei circuiti distributivi.

Le nuove iTV importano i contenuti di internet, che in principio è un luogo aperto e difficile da monopolizzare, ma che in pratica ha sempre più il volto chiuso dei tablet. Invece di affacciarsi sulla rete, l’utente scorre i loghi di tanti piccoli store. Finalmente, l’utopia della condivisione non verrà battuta con l’arma spuntata delle leggi repressive, ma con il telecomando a quattro tasti derivato dall’ipod, ovvero dal simpatico «pensiero differente» del signor Job.