Sono tre i principali candidati alla carica di presidente della giunta regionale della Sardegna nella campagna elettorale che si concluderà con le votazioni del 16 febbraio: Ugo Cappellacci, Francesco Pigliaru e Michela Murgia. Il primo, governatore uscente che ad Alfano ha preferito la rinata Forza Italia, tenta il rinnovo del mandato alla guida di una coalizione di centrodestra. Pigliaru, economista, prorettore all’università di Cagliari, è il candidato del centrosinistra, sostenuto da un raggruppamento di ben undici sigle, le principali delle quali sono: Pd, Sel, Sinistra sarda (Rifondazione e Partito dei comunisti italiani insieme), Italia dei valori, Verdi, Rossomori, Partito dei sardi, Indipendentzia Repubrica de Sardigna (le ultime tre formazioni hanno l’indipendenza politica della Sardegna nel loro programma). Michela Murgia guida la coalizione «Sardegna possibile», nella quale confluiscono tre liste: Progres, Gentes e Comunidades. Anche Murgia si proclama indipendentista. Oltre i tre principali competitori, che giocano davvero la partita, ci sono altri quattro concorrenti. A destra corre Mauro Pili, ex presidente della Regione ai tempi della prima Forza Italia. Sempre sul fronte indipendentista sono Meris (Movimento europeo di rinascita sarda) e Fronte indipendentista sardu. Infine c’è il Movimento zona franca, una lista di centrodestra che vorrebbe che la Sardegna intera diventasse una zona di franchigia fiscale. Mancano i 5Stelle, che si sono talmente divisi al momento della definizione delle candidature. Beppe Grillo, con un diktat che non ha tenuto in alcun conto le proteste e gli scioperi della fame dei militanti, ha deciso che M5S avrebbe saltato un giro: niente lista per le regionali sarde.

La campagna elettorale si svolge in una regione messa in ginocchio prima dalla crisi economica e poi dall’alluvione del 18 novembre. Interi comparti industriali sono crollati e il tasso di disoccupazione è al 20 per cento, una delle percentuali più alte d’Italia. Se poi si considera la disoccupazione giovanile, i dati sono drammatici: un giovane su due è senza lavoro. I tagli all’istruzione hanno portato alla chiusura di decine scuole in molti piccoli paesi delle zone interne dell’isola, aggravando il fenomeno dell’abbandono e della dispersione scolastica, per il quale la Sardegna è al primo posto in Italia. L’alluvione, poi, ha mostrato come l’incuria dei territori, l’abusivismo e le speculazioni sulle coste creino solo disastri e non indichino alcun futuro possibile.

Cappellacci fa una campagna elettorale su due punti: zona franca in tutta l’isola e abbattimento dei vincoli urbanistici sulle coste, cioè meno tasse e rilancio dell’edilizia attraverso la devastazione delle coste. Pigliaru propone un modello che punta su conoscenza e ambiente come leve per creare iniziative imprenditoriali tecnologicamente avanzate e per rilanciare un turismo responsabile e di qualità. Con Michela Murgia fa irruzione nella campagna elettorale il tema dei limiti dell’autonomia speciale che la Costituzione riconosce alla Sardegna. Murgia pensa, in prospettiva, a un’isola stato indipendente. E spariglia i giochi dei partiti tradizionali guardando sia all’area dei movimenti sia a quella grillina. Ma anche ai delusi del Pd.

Gli ultimi sondaggi Datamedia la danno al 20,1 per cento (ma solo al 14,0 per cento la sua coalizione). Pigliaru sta al 35,6 per cento e Cappellacci al 38,8 per cento. Ma se si guarda alle coalizioni, il centrosinistra è al 43,0 per cento e il centrodestra al 38,0 per cento. Insomma, la partita è tutta aperta.