L’umano è in crisi di identità, svolge oramai le sue autodefinizioni senza un approdo apparente, perduto in una odissea che lo vede muoversi dubbioso ed esitante tra gli scogli mugghianti di una Scilla che ha le sembianze di un futuro transumanesimo sempre più tecnologico, una sorta di evoluzione onto-tecnologica (ma allora cosa rimarrà di noi?), e la Cariddi di una altrettanto perigliosa ed oscura ricomposizione tra la sua specifica bios e le altre molteplici forme che costituiscono la zoé, la Vita senza qualificazioni.

Ma qui, a differenza dell’opera omerica, o come nel mito di Ercole di fronte alla sua Ypsilon pitagorica, il passaggio, la scelta, lo stretto, ci interroga di continuo, non una volta per tutte. Ed è questa permanente e pervasiva necessità definitoria, il corpo a corpo inesausto con la tensione dei contrasti, che ha bisogno, al tempo stesso, sia di strumenti di navigazione antichi – i miti di ascendenza eraclitea che mostrano come la «Trama nascosta è più forte di quella manifesta» – sia delle suggestioni cibernetiche.

LA COSTRUZIONE di queste mappe cangianti, rizomatiche, miceali, ibridate, che riecheggiano le «costellazioni» benjaminiane osservate dallo storico straccivendolo dei Passaggi, come pure i «climi» del «mundus imaginalis» descritti dai neoplatonici d’Oriente, sono il filo conduttore del libro di Giorgiomaria Cornelio Fossili in rivolta, pubblicato dalle edizioni Tlon (pag.400, Euro 20). Per essere coerenti con l’impianto quantistico del saggio, dove ogni immagine, storia, analogia vertiginosa, è a sua volta legata poieticamente con tutte le altre, l’autore non solo suggerisce un non-punto di inizio per la lettura ma, così facendo consegna la spoletta per tessere noi stessi la trama dei nostri punti de-cardinali, inanellando in un filo di Moebius capitoli equivalenti di valore pari all’Aleph con zero, il primo numero transfinito di Cantor.

Non a caso, proprio il magistrale caleidoscopio borgesiano, quell’Aleph «microcosmo di alchimisti e cabalisti», attraverso cui è possibile vedere, e naturalmente essere visti, da tutti i fenomeni e da tutti i tempi senza sovrapposizioni, è una immagine mai citata esplicitamente, ma sempre in qualche modo richiamata dalla sincronicità analogica di una scrittura sefirotica, che invita all’apocatastasi, a ricomporre l’invisibile En Sof attraverso le schegge e di frammenti dei vasi rotti al momento della creazione della modernità.