Mettiamola così. Amadeus al suo quinto Sanremo annunciato come ultimo ‘cascasse il mondo’ – salvo vacillare sui propositi d’addio proprio nei giorni scorsi, porta a compimento il suo progetto di (de)strutturazione del festival. Kermesse che dal 2020 ha trasformato da carrozzone rivierasco a misura di utente medio di Rai1, a contenitore decisamente radiofriendly, come stanno a testimoniare anche le classifiche appena licenziate dalla Fimi e la massiccia presenza dei social. Trenta pezzi presentati in anteprima alla stampa in blindatissime sessioni di ascolto, scelti fra quattrocento arrivati nel corso degli ultimi dodici mesi con un (quasi) totale denominatore comune: l’assoluta orecchiabilità, il refrain guascone e il ritornello che più furbo non si può. Non c’è traccia di rock, come afferma lo stesso direttore artistico: «Pensavamo dopo la vittoria dei Måneskin di essere travolti , ma non è arrivato nulla», né di «caute» avanguardie. Testi introspettivi, languori sentimentali, ma assenza di riferimenti alla politica e al sociale, con qualche mosca bianca (Fiorella Mannoia, Big Mama, Ghali,Dargen D’Amico): «Non scelgo le canzoni per il testo – ammette Amadeus – a me interessa che funzioni ed arrivi all’orecchio dell’ascoltatore. Mi è capitato di ricevere brani dalle liriche impegnate ma dall’impianto musicale debole».

E ALLORA vai con il trionfo dell’uptempo e arrangiamenti in linea con la produzione attuale, anche la durata è negli standard: non si va oltre i tre minuti canonici di ‘fideizzazione massima d’ascolto’, come dicono gli esperti. Ma in un ambiente dalle coordinate ben precise, c’è anche chi prova a smarcarsi dalla pazza folla. Mahmood è di un altro livello: Tuta gold spicca per sonorità etniche e arrangiamento a rivestire una storia di soprusi e di riscatto. Forse meno di impatto rispetto a Soldi o a Brividi in coppia di Blanco, con cui vinse rispettivamente l’edizione 2019 e 2022 di Sanremo. Loredana Bertè gigioneggia con classe, Pazza attacca con schitarrata rock per poi riposizionarsi su atmosfere bluesy elettroniche (un po’ alla Muse di Spirit in the sky…) con qualche (voluto) rimando a un suo classico griffato Fossati: Dedicato. L’incipit è in puro Bertè style: «Sono sempre la ragazza che per poco già si incazza». I Santi Francesi uniscono ciò che resta dell’indie con un brano ben strutturato L’amore in bocca. Annalisa abbandonato il pop tradizionale, da Mon amour in poi si muove su coordinate elettroniche decisamente anni ottanta, ritornelli tamarri e ugola spianata. Sinceramente rispetta il cliché e già adesso è tra i pezzi che si piazzeranno bene nelle classifiche finali.La traccia etnica di Mahmood, gioie e dolori per Big Mama, l’eleganza dei Negramaro

DOPO SETTE ANNI si riaffaccia anche Fiorella Mannoia con Mariposa un manifesto di donne. L’interprete romana canta le voci di ognuna di loro raccontandole nella loro libertà, forza e dolore fisico. Più drammatico – e autobiografico – il cammino di Big Mama. La rabbia non ti basta dopo un intro rap vira su un tappeto dance per una vicenda di bullismo, violenza, buio interiore ma anche forza e riscatto.
La noia non cita Moravia, ma è lo stato d’animo dell’interprete Angelina Mango – che firma il pezzo a sei mani con Madame e Stardust: «Vivo senza soffrire, non c’è croce più grande» canta su un ritmo tribale salvo scatenarsi in una cumbia nel ritornello. Ballata elegantissima di impianto classico – Ti muovi, scritta e interpretata da Diodato.
Un ragazzo e una ragazza vede Stash e i napoletani The Kolors cercare il bis del tormentone estivo Italo disco e trovarlo. La ricetta è la stessa: chitarre funk, archi alla Moroder e ritornello implacabile. In dialetto è il debutto sanremese di Geolier – fenomeno da classifica con cinque dischi di platino dell’album Il coraggio dei bambini che ha già chiuso con un soldout le prevendite per il concerto estivo al San Paolo. I p’me, tu p’ te che poco concede ai patiti del ‘cuore amore cuore’ e prosegue nel suo progetto di trap dura e pura che tanto gli ha portato fortuna. In un discorso musicale dove i giovani si esprimono per cliché – Gazzelle, Menninni, La Sad, San Giovanni, i Negramaro per la prima volta in gara al festival, con Ricominciamo tutto portano una composizione solida dove all’incedere classico delle produzioni della band salentina, si aggiunge il tocco d’archi di Davide Rossi (già al fianco dei Coldplay) e qualche citazione (U2) eighties che non guasta mai.

L’ABBUFFATA sanremese nel frattempo si arricchisce di ospiti – ultimo della lista Russell Crowe – e di tre celebrazioni: i trent’anni di Come saprei – con Giorgia, i quaranta di Terra promessa di Eros Ramazzotti e – udite udite – i sessanta di Non ho l’età con Gigliola Cinguetti pronta sul palco per la serata finale.

 

Grazie dei fior: vincitori e vinti

Anche l’editoria si mobilita in vista del festival, con libri, riviste e pod cast che hanno come tema la kermesse ligure. Curioso il volume dato alle stampe per i tipi de La bussola da Marco Rettani e Nico Donvito: Ho vinto il festival di Sanremo, mette in fila le testimonianze e i racconti di chi quel festival l’ha vinto di recente, come Diodato e Fai rumore o chi l’ha vinto nella notte dei tempi e altrettanto velocemente si è eclissato, come Gilda che nel 1975 si impose in una delle edizioni più in sordina del festival (ignorata dalla Rai che trasmise solo la serata finale…) con Ragazza del sud. Nelle pagine i percorsi di altri vincitori, celebri e meno celebri: Riccardo Fogli, Pooh, Avion Travel, Matia Bazar, Jalisse, Cocciante, Tiziana Rivale. S.Cr.