I tempi di attesa per una visita specialistica o un esame nella sanità pubblica sono aumentati in media tra 20 e 27 giorni in 3 anni. Il dato, che evidenzia un netto peggioramento nella qualità del nostro sistema sanitario, viene dall’Osservatorio su tempi di attesa e costi delle prestazioni sanitarie, studio commissionato da Funzione pubblica Cgil e realizzato dal Crea Sanità in quattro regioni: Lombardia, Veneto, Lazio e Campania.

L’attesa per una visita nella sanità pubblica è in media di 65 giorni, contro 7 nel privato e 6 in intramoenia. L’indagine, la prima a confrontare tempi e costi nell’arco di 3 anni (2014-2017) e su un campione di oltre 26 milioni di cittadini (44% della popolazione), rivela purtroppo altre gravi carenze del pubblico, sempre più insidiato dalle prestazioni private.

I prezzi sostenuti dai pazienti nella sanità privata in molti casi, ad esempio, «non sono troppo distanti dal costo del ticket». Le tariffe dei privati, inoltre, a volte sono pari o inferiori anche a quelle in intramoenia, cioé delle prestazioni fornite privatamente dai medici di un ospedale pubblico all’interno dell’ospedale stesso.

Dal report, che ha preso in considerazione 11 prestazioni senza esplicita indicazione di urgenza, è emerso chiaramente quanto i cittadini da tempo lamentano, ovvero che le liste d’attesa nella sanità pubblica sono estremamente lunghe. Si va ad esempio da 22,6 giorni per una radiografia a una mano o una caviglia fino a 96,2 giorni per una colonscopia. Le stesse prestazioni, se effettuate in intramoenia, registrano invece attese, rispettivamente, di 4,4 e 6,7 giorni, e nel privato di 3,3 e 10,2 giorni.

Di fatto, sottolinea Federico Spandonaro, direttore di Crea Sanità, «la tempestività di accesso sembra una condizione garantita dal Servizio sanitario nazionale solo per le prestazioni urgenti. Mentre diventa di fatto un “servizio a pagamento” nei casi restanti, che sono prevalenti numericamente». L’analisi, commenta Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione pubblica Cgil, ci consegna «una situazione in cui il Ssn continua ad arretrare, soccombendo alla concorrenza del privato».

Alla pubblicazione dei dati è seguita una polemica tra la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, e la Funzione pubblica Cgil. Lorenzin ha cercato di scaricare le responsabilità rispetto ai problemi denunciatisulle Regioni: «Sulle liste di attesa – ha detto – la partita è in mano alle Regioni. Le best practice ci sono, sono quelle emiliane, ci sono le linee guida del ministero, di Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ndr), c’è la legge, che va fatta applicare. Questo è un tema, io non mi stancherò mai di dirlo, tutto di programmazione sanitaria e di organizzazione delle singole regioni».

Netta la replica della Fp Cgil: «La responsabilità della crisi del Servizio sanitario nazionale è data dal taglio di risorse operata dal suo governo e dalla incapacità del ministero della Salute di garantire una programmazione ordinata sul territorio», ha spiegato il sindacato dei lavoratori pubblici.

«Forse da ministro – ha rincarato la Fp Cgil – Lorenzin è stata più attenta agli interessi delle lobby del privato che ai bisogni dei cittadini e dei lavoratori. Non l’abbiamo mai vista impegnata nella partita dei rinnovi dei contratti, anzi quando è intervenuta lo ha fatto per dividere il comparto».

Per accorciare le liste, il Codacons suggerisce «l’impiego dei medici di famiglia e aperture serali e notturne»: «Questo consentirebbe anche – dice l’associazione – di sfruttare in modo più efficiente i macchinari a disposizione».