Matteo Renzi gongola del suo ultimo capolavoro di strategia, il governo in fieri di Mario Draghi, appuntandosi al petto una medaglia che, nell’emozione del successo, non capisce riveli ancora una volta pubblicamente la sua assoluta mancanza di affidabilità e di serietà.

Ammette candidamente di aver aperto la crisi di governo puntando, come esito lucidamente pianificato, alla rottura del secondo governo Conte senza alcuna intenzione di aprirne uno nuovo con lo stesso nome. Non respinge l’accusa di aver concesso, mentre l’Italia attraversa una delle fasi più critiche della sua storia repubblicana, un finto dialogo con il premier e con gli ex alleati né fa mistero di aver alzato progressivamente la posta proprio perché non potesse venire accettata.

Lo scaltro fiorentino non ammetterebbe mai, tuttavia, che la sua mossa è stata debitamente studiata per uscire, prima della scadenza della legislatura, dalla marginalità nella quale si era cacciato il fallito progetto di Italia Viva, soprattutto in presenza di un rafforzato asse Partito Democratico-Movimento 5 Stelle che fosse riuscito a portar fuori l’Italia dalla pandemia e dalla crisi economica.

Basterebbe questo per capire quanto stia veramente a cuore a Renzi il suo Paese e per combatterlo e ridurlo all’irrilevanza nella vita pubblica italiana, come auspicava, su queste pagine Piero Bevilacqua (“Come Craxi, Renzi punta a diventare ago della bilancia di qualsiasi governo”, 2 febbraio 2021).

Non possiamo che augurarci che questo avvenga il più presto possibile e che il mestiere di aedo-conferenziere di regime assorba Renzi per intero. Non sarà, tuttavia, possibile dimenticare in fretta il lascito del suo lacerante passaggio nella vita della Repubblica. Nel diritto del lavoro, nella scuola, nel fisco ha lasciato un segno che dovrà essere assorbito e riparato.

Un impegno distruttivo che non ha risparmiato la sanità pubblica che si è trovata impreparata ad affrontare la pandemia, con il risultato che proprio in Italia si registra il tasso di letalità da Coronavirus più alto in Europa. Nel periodo 2010-2019 il settore sanitario ha, infatti, subito tagli per 37 miliardi di euro rispetto al fabbisogno programmato. Di questi, ben 16,6 miliardi sono sforbiciate decise dal governo Renzi con le finanziarie 2015, 2016 e 2017.

Nessun altro governo ha fatto “meglio” di lui (Fondazione Gimbe, Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale). È dunque per riparare ai danni prodotti dal suo stesso ministero che Renzi chiedeva a Conte l’utilizzo dei fondi del Mes sanitario.

Il Mezzogiorno, invero, conosce bene le sue furbizie. Il 22 febbraio 2016 il premier Renzi dichiarò: l’autostrada Salerno-Reggio Calabria sarà inaugurata il 22 dicembre. E così, in effetti, avvenne mettendo fine a lavori di ammodernamento che duravano dal 2003. Per l’occasione l’autostrada cambiò persino nome: non più A3 ma A2, Autostrada del Mediterraneo.

Per ottenere questo brillante risultato e mantenere fede al suo impegno Renzi non badò a nulla, neppure a far chiudere i cantieri che interessavano ancora 58 chilometri su un totale di 442, il 13% della rete che restò di fatto A3. Ancora grazie a Renzi l’estrema punta meridionale della penisola non è più una provincia e quegli abitanti non sono più provinciali ma metropolitani. In questo “fortunato” passaggio i due terzi degli ex provinciali hanno, però, perso il diritto di scegliersi la massima rappresentanza istituzionale, assegnata ope legis (l. 56/2014 detta anche Renzi-Delrio) al sindaco eletto dalla sola città capoluogo, Reggio.