Inequivocabile il significato politico della manifestazione di sabato: i diritti costituzionali non si toccano. Il governo delle larghe intese, nato dai paradossi di questo paese, non può arrogarsi in nome della crisi speciali poteri controriformatori. Il parlamento almeno sul diritto alla salute, sembra pensarla alla stessa maniera. In questi giorni ha ufficializzato le sue risoluzioni sul Def e su quella sedicente “nota” che pretende di contro-riformare il diritto alla salute.
Le commissioni di merito di camera e senato hanno sostanzialmente bocciato il disegno contro-riformatore della “nota” sulla sanità riconfigurando la sanità pubblica come valore universale e quindi come espressione dell’art 32 della Costituzione. Tant’è che rispetto alla questione delle tutele di diritto, il parlamento non parla né di restrizione e né di costi standard ma di «aggiornamento»: vuol dire che la misura di universalità è salvaguardata in via di principio pur aprendo ad una necessità oggettiva di svecchiamento e di rinnovamento.
Al governo sono state indicate altre strade: la revisione analitica della spesa per intervenire sulle diseconomie, la governance quale condizione per un sistema complessivamente sostenibile, il miglioramento della qualità dei servizi, una nuova allocazione delle risorse per finanziare la sanità per obiettivi e risultati, non più sulla base della spesa storica. Insomma la strada indicata è quella della riforma nel sistema, non della controriforma oltre il sistema. Il parlamento, in sostanza, ripulisce la nota del Def da un pericoloso sovra più ideologico, che ci dice molte cose sulle “credenze” della ministra per la salute e del presidente del consiglio,ma che non ha niente a che fare con i problemi della sanità. Una sovra più ideologico che non è semplicemente tale perché da una parte risulta funzionale agli interessi legati al mondo assicurativo, dall’altra a logore e fruste ricette neoliberiste. E’ importante che, con un governo che sembra fraintendere le sue reali prerogative istituzionali, il parlamento riconfermi il valore della sanità pubblica, quindi il valore della Costituzione, indicando la necessità di definire un nuovo rapporto di compossibilità più che di compatibilità tra diritti e risorse. La condizione che il parlamento pone, e che condivido, è obbligare la sanità pubblica a mettere mano a cambiamenti interni non marginalisti.
La lezione anti ideologica del parlamento si estende alle Regioni che ieri sera gridavano in tv contro i tagli, ma che sino ad ora non hanno detto una sola parola sulla controriforma del Def . Ricordo che sono state le Regioni per prime a proporre la follia della riduzione delle tutele di diritto per stare dentro le compatibilità finanziarie. A mio parere dentro la risposta anti ideologica del parlamento c’è l’idea di una nuovo accordo tra governo e Regioni: ragionevoli risorse per coprire i bisogni impellenti del sistema (quindi niente tagli lineari) e come contropartita un significativo cambiamento interno del sistema che liberi risorse e sgonfi la spesa. Insistere, come fanno le Regioni, di rifinanziare “solo” l’invarianza, ha davvero il fiato corto, perché l’invarianza delle Regioni, alla fine rischia di essere il grande alibi per controriformare la sanità.
Fra poche ore conosceremo la legge di stabilità. Nelle risoluzioni parlamentari sulla nota al Def si afferma che «l’approvazione della nota impegna il governo a tenere conto degli orientamenti delle competenti commissioni parlamentari». Il governo sarà rispettoso delle volontà parlamentari, o andrà avanti con le sue prevaricanti ideologie contro riformatrici? Staremo a vedere.