Se Salvini propone «il modello Lombardia», sulla sanità Mario Draghi gli ha già risposto negativamente. Nel suo discorso programmatico il neo presidente del consiglio ha messo in evidenza due priorità: l’accelerazione della campagna vaccinale e la riforma della sanità territoriale, esattamente l’opposto del modello Lombardia.

«Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare – ha detto Draghi – ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private».

«La velocità è essenziale – ha specificato Draghi – non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus».

NON MENO CHIARO SUL COME riformare la sanità in senso territoriale. «Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale – per Draghi – è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata», ha chiarito il presidente del Consiglio.

LA SUA IDEA SI DOVREBBE esplicitare in concerto con il confermato ministro Roberto Speranza nel nuovo piano per l’immunizzazione di massa. Vaccinazioni nelle caserme e nei palazzetti, un esercito di 300 mila volontari in campo per la logistica e per aumentare il personale dedicato alle somministrazioni, mezzo milione di dosi al giorno come obiettivo a partire da aprile.

Già nei prossimi giorni ci saranno una serie di incontri per definire le linee del piano organizzativo e logistico. Piano che però non può che essere strettamente vincolato alla fornitura dei vaccini: senza dosi, la campagna non può partire. La strategia si muoverà dunque su due piani, quello nazionale e quello europeo, dove l’Italia sarà convinta sostenitrice della linea adottata finora da Bruxelles per gli acquisti centralizzati.

Ma per il momento i numeri, almeno per quanto riguarda il nostro paese, sono limitati: l’ultima previsione di Arcuri indicava 14 milioni di dosi entro la fine di marzo, sufficienti per completare la vaccinazione del personale sanitario, Rsa e over 80 ma non certo per la campagna di massa. Quella dovrebbe partire ad aprile: nel secondo trimestre sono previste 64,5 milioni di dosi, un terzo da Astrazeneca. L’obiettivo del ministero della Salute è di arrivare a 500mila vaccinati al giorno, 6 milioni di italiani al mese, utilizzando soprattutto medici di base.

MA PER CENTRARLO SERVIRÀ anche altro. Tra palazzo Chigi e la struttura del Commissario per l’Emergenza Domenico Arcuri ci sono già stati dei contatti, che si intensificheranno nei prossimi giorni. Ad Arcuri dovrebbe rimanere la parte relativa agli acquisti mentre la struttura commissariale dovrebbe essere sgravata per ciò che concerne logistica e distribuzione.

DUNQUE ADDIO ALLE PRIMULE disegnate dall’architetto Stefano Boeri, che al momento nessuna regione ha richiesto, e spazio a caserme, palazzetti, fiere ma anche a luoghi come la stazione Termini e la Nuvola di Fuksas a Roma, gli spazi nei centri commerciali. E, ovviamente, i drive trough della Difesa, che saranno riconvertiti a centri vaccinale. Il primo aprirà nelle prossime ore alla Cecchignola a Roma.

Un cambio di passo che rimette in gioco la Protezione Civile, che garantisce quel coordinamento necessario – attraverso il Comitato operativo in cui siedono tutti i soggetti coinvolti – a far sì che la gestione dell’emergenza si muova su un’unica linea operativa.