La decisione del governo spagnolo è arrivata decisamente troppo tardi. Dopo 19 giorni di inferno, finalmente Pedro Sánchez si era deciso a mandare a prendere il centinaio di migranti disperati ancora sull’Open Arms. Il capo della ong spagnola Òscar Camps lunedì aveva ribadito ancora una volta in una intervista a eldiario.es: «Non siamo un taxi», esigendo dall’esecutivo spagnolo di mandare una nave veloce o un aereo a prendere i migranti, ormai completamente esauriti e incapaci di affrontare una nuova traversata del Mediterraneo.

Ma da Madrid la decisione ieri pomeriggio era stata quella di mandare la nave Audaz dell’Armada spagnola, ancorata a Rota, a 1875 km da Lampedusa: più di tre giorni di viaggio. L’idea dell’esecutivo era quella di recuperare i migranti, portarli alle isole Baleari (altri 1030 km di navigazione) e da lì finalmente iniziare le operazioni di riparto dei migranti fra i sei paesi che si erano offerti di accoglierli. «La nave Audaz dell’Armada è pronta per navigare stasera verso l’isola di Lampedusa, assistere l’Open Arms e i suoi occupanti. Accompagnerà l’imbarcazione verso il porto di Palma di Maiorca. Con questa decisione, la Spagna risolverà, questa settimana, l’emergenza umanitaria», scriveva in tono trionfalistico il premier spagnolo in un tweet all’ora di pranzo.
Il ministro dei trasporti Toninelli si era vantato che questa «soluzione» era arrivata grazie alla gestione italiana e aveva chiesto alla Spagna di bloccare in futuro l’imbarcazione di Open Arms «coi mezzi che considereranno opportuni». L’esponente dei 5 stelle era arrivato a ricattare l’esecutivo spagnolo, offrendosi di scortare con la Guardia costiera l’Open Arms, ma in cambio del ritiro da parte della Spagna della bandiera alla nave umanitaria. Fonti governative spagnole citate da El País però hanno fatto sapere che questa misura «non ha senso» perché è prevista solo per infrazioni molto gravi del Codice della navigazione.

Ma la guerra del governo spagnolo contro l’ong catalana era già in corso ben prima della richiesta di Toninelli. Per mesi il ministero dei Trasporti spagnolo (il cui titolare, José Luís Ábalos, aveva attaccato Open Arms dicendo che non sopportava quelli che credono di essere gli unici a salvare vite umane) aveva bloccato la nave umanitaria nel porto di Barcellona, tanto che Òscar Camps era arrivato a ipotizzare l’idea di battere la bandiera di qualche altro paese che mettesse meno ostacoli.

A fine aprile, dopo più di 100 giorni ancorati nel porto della capitale catalana, la ong aveva ottenuto il permesso di portare viveri alle isole greche di Lesbos e Samo, anch’esse al centro di un’emergenza migratoria, ma il capo delle operazioni Gerard Canals aveva detto che non erano sicuri che sarebbero tornati a Barcellona, proprio per gli ostacoli imposti dal governo spagnolo, che minacciava multe per centinaia di migliaia di euro se fossero tornati a salvare vite davanti alle coste libiche, adducendo ragioni di sicurezza: la nave non sarebbe stata adatta al trasporto di passeggeri, per quanto salvati in emergenza. Peccato che la vicepresidente Calvo se ne sia dimenticata due giorni fa, quando ha chiesto a Open Arms di portare i migranti a 1.000 miglia di distanza.

A fine giugno, dopo sei mesi senza poter effettuare salvataggi (cioè la ragion d’essere di questa associazione di bagnini catalani che aveva deciso nel 2015 di dedicarsi ai migranti nel Mediterraneo), Open Arms ha sfidato il divieto di Ábalos. Proprio dal porto di Napoli, dove aveva passato alcune settimane, aveva annunciato: «Sei mesi bloccati, non ce la facciamo più. Leviamo le ancore e partiamo. Meglio in prigione che complici». Òscar Camps aveva poi spiegato: «Non è tanto una disobbedienza, ma una divergenza di criterio. Non siamo d’accordo con la decisione del governo spagnolo di penalizzarci per il fatto di salvare vite. Torniamo in mare per le 590 persone che sono morte da quando ci hanno bloccato».  Madrid non ha reso noto quali provvedimenti prenderà, una volta superata l’emergenza, contro Open Arms. Ma il cammino dell’associazione umanitaria è tutto in salita.