Due stabilimenti già fermi su quattro, con gran parte dei 346 addetti in cassa integrazione straordinaria, e con il rischio sempre più concreto di chiusure definitive ad ottobre. E’ appesa a un filo la Sanac, e non perché sia un’azienda decotta ma semplicemente perché il suo storico committente, le Acciaierie d’Italia che contribuivano per il 60% al suo fatturato, ha deciso di escluderla dalla filiera dell’acciaio, acquistando le materie prime all’estero. Per giunta l’ex Ilva continua a non saldare i suoi debiti verso Sanac, circa 32 milioni di euro essenziali per acquistare materie prime, pagare i fornitori e gli stipendi degli operai. A rendere il tutto un teatro dell’assurdo c’è la presenza pubblica al 50% di Invitalia a Taranto; c’è l’amministrazione straordinaria di Sanac sotto il coordinamento del Mise; e c’è il fatto che nel decreto Aiuti bis, già approvato al Senato, una norma prevede il finanziamento di un miliardo di fondi pubblici per le stesse Acciaierie d’Italia. Ma senza alcun vincolo.
Visto il contesto, non c’è da stupirsi se a inizio setttembre gli operai dello stabilimento di Massa – le altre fabbriche di prodotti refrattari e ceramici impiegati nei processi produttivi della siderurgia sono a Gattinara nel vercellese, a Grogastu nel cagliaritano e a Vado Ligure – in segno di protesta hanno gettato a terra, durante un presidio, le loro tessere elettorali. Uno sfogo dettato dalla disperazione, dopo un anno di continue mobilitazioni con il governo Draghi silente. Quel giorno davanti ai cancelli della fabbrica c’erano esponenti del Prc, Maurizio Acerbo in testa. E così le parlamentari Simona Suriano e Yana Ehm, anche loro candidate con Unione Popolare, hanno presentato un ordine del giorno da porre in votazione alla Camera nelle pieghe dell’approvazione definitiva del decreto Aiuti bis.
“L’assenza di una strategia industriale sul polo siderurgico di Taranto inevitabilmente impatta sul tessuto produttivo del Paese – osservano nell’odg Suriano ed Ehm – con conseguenze gravi sia per la produzione di acciaio, sia per l’ambiente che per molte aziende del tessuto produttivo italiano che risentono dell’inaffidabilità del gruppo di Acciaierie d’Italia”. Di qui la richiesta di impegnare il governo “a considerare la possibilità di vincolare Invitalia alla sottoscrizione di un aumento di capitale che garantisca una ricapitalizzazione a maggioranza pubblica, al fine di dare una continuità dal punto vista produttivo, ambientale e di solidità economica, necessaria anche a garantire il tempestivo pagamento dei debiti nei confronti di Sanac e la partecipazione da parte di Acciaierie d’Italia al nuovo bando pubblico per l’acquisto dell’azienda. Questo darebbe una continuità della filiera siderurgica sul territorio nazionale, senza avvantaggiare stabilimenti all’estero e salvaguardando occupazione”.
Nell’attesa del voto sull’ordine del giorno, anche il ministro del lavoro Andrea Orlando, in visita alla fabbrica di Vado Ligure, ha detto la sua: “Il governo ha stanziato un miliardo di aumento di capitale per l’ex Ilva – ha spiegato il candidato del Pd – che porterà anche assetti diversi e che potrà dare risposte anche alla Sanac. È inaccettabile che un’eccellenza nell’ambito della produzione dei refrattari per l’acciaio come questa si indebolisca, mentre c’è ancora domanda in questo campo e mentre l’ex Ilva si rivolge ad altri”. Ma i sindacati metalmeccanici hanno già avvertito: “Se il miliardo non dovesse essere facilmente e immediatamente spendibile, ci sarebbero presto ripercussioni occupazionali, sociali e ambientali drammatiche”.