Un tunnel lungo 57 km (quanto la futura Tav in Val di Susa, più di quello sotto la Manica), costato 11 miliardi di franchi in 17 anni di lavori (uno in meno del previsto), 2600 lavoratori impiegati, tra geologi, ingegneri e operai, nove minatori morti: quattro tedeschi, tre italiani, un sudafricano e un olandese. Tutto per consentire di portare l’alta velocità ferroviaria pure nelle valli svizzere, spostare su rotaia gran parte del traffico merci dall’Europa verso l’Italia (in particolare da Rotterdam verso il porto di Genova) e consentire ai viaggiatori (in futuro) di collegare Zurigo e Milano in un paio d’ore a 250 chilometri orari. Sono queste le cifre della galleria del San Gottardo inaugurata ieri in pompa magna alla presenza delle massime autorità elvetiche, del presidente tedesco Angela Merkel, di quello francese Francois Hollande e con la toccata e fuga del nostro Matteo Renzi. Il premier italiano è stato l’unico ad andar via prima della cerimonia ufficiale, lasciando l’incombenza del discorso al ministro dei Trasporti Graziano del Rio, forse per evitare imbarazzi dopo la gaffe del 15 aprile: “Siamo l’unico paese al mondo che sta facendo tre tunnel, tre opere strepitose per il collegamento con l’Europa: il San Gottardo che si inaugura il primo giugno con la Svizzera, il Brennero che abbiamo sbloccato noi e ci collega all’Austria, la Torino-Lione con la Francia”, aveva detto il premier italiano, facendo esplodere le polemiche non solo per l’errore geografico (il tunnel è interamente in territorio elvetico), quanto per il fatto che è il governo svizzero a pagare le opere di ammodernamento ferroviario pure in Italia e non il contrario. Del Rio, al quale è toccata l’onerosa incombenza di rimediare all’errore, ha provato a metterci una toppa: “Sentiamo il Gottardo un po’ italiano, e pensiamo che i porti liguri siano anche un po’ svizzeri”.

Il messaggio più forte è arrivato dal presidente della Confederazione elvetica Johann Schneider-Amman: “L’apertura del San Gottardo arriva al momento giusto, a rinsaldare i rapporti tra Svizzera ed Europa, in un momento in cui questi devono essere chiariti”. Poi, rivolto ai capi di Stato e di governo presenti, ha affermato: “Voi rimanete i nostri partner principali”. Un’importante dichiarazione di principio, quella del presidente elvetico, mentre il suo Paese si trova di fronte a un bivio: applicare il referendum “contro l’immigrazione di massa”, andando incontro a una rottura delle relazioni con l’Unione europea, oppure lasciarlo lettera morta, disattendendo la volontà dei cittadini. Nei giorni scorsi, lo stesso Schneider-Amman ha lasciato intendere, in un’intervista al quotidiano Neue Zurcher Zeitung, che il tetto all’ingresso di stranieri in Svizzera, che secondo la consultazione popolare del febbraio 2014 dovrebbe entrare in vigore entro il 9 febbraio 2017, potrebbe slittare ancora. L’iniziativa prevede il principio di preferenza agli svizzeri e l’introduzione di contingenti annuali per gli stranieri che lavorano nella Confederazione, anche se comunitari. Un vero problema per i cantoni, come il Ticino con l’Italia e quello di Basilea con la Francia e la Germania (ma pure per Zurigo) dove migliaia di persone ogni giorno passano da una parte all’altra per lavoro.

Ma il problema è che la Svizzera, pur non facendo parte dell’Ue, ha aderito al Trattato di Schengen e queste due clausole sono incompatibili con la libera circolazione delle persone. Bruxelles ha già minacciato di escludere Berna dai progetti europei, a cominciare dal programma di ricerca Horizon 2020, il che vorrebbe dire una forte perdita economica per la Svizzera. Pure alcune multinazionali, come la Novartis e la Roche, hanno minacciato di spostare la produzione oltreconfine se fossero imposte limitazioni ai lavoratori.Le parole del capo dello Stato elvetico sono apparse rivolte al partito di destra anti-immigrati Udc, che aveva promosso il referendum con una campagna che aveva suscitato molte polemiche (specialmente per un manifesto che mostrava una pecora bianca che scalciava una nera) e ha vinto le ultime elezioni. La Svizzera sta cercando di negoziare con l’Ue una soluzione che consenta di salvare capre e cavoli. L’ultima ipotesi è di mettere un tetto dalle maglie molto larghe, ma se ne parlerà solo dopo il referendum inglese sulla Brexit.