The ability to dream non è solo il titolo del documentario prodotto da Sky Arte e TIW che racconta i trent’anni di attività della Galleria Continua e dell’Associazione Arte Continua di San Gimignano, nate nel 1990 dalla mente brillante di tre ragazzi ambiziosi, ostinati e sognatori che si conoscono sui banchi della scuola: Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigillo. È anche una mostra (fino al 30 ottobre) che ripercorre, attraverso le opere di tutti gli artisti della «scuderia», la storia stessa di quest’avventura che da San Gimignano e dal territorio toscano (grazie anche alla lungimiranza del critico d’arte Luciano Pistoi che con i «Continui» ideò e realizzò le prime edizioni di Arte all’Arte. Arte Architettura Paesaggio), nel tempo, ha allargato gli orizzonti aprendo le sedi di Pechino, Les Moulins/Parigi, L’Avana, San Paolo, Roma, Parigi e Dubai. Alla base non c’è solo business ma la convinzione che il vero valore dell’arte sia la condivisione.

Coraggio e magia

Questo è anche il fil rouge del documentario nel raccogliere le testimonianze dei fondatori, ma anche di alcuni artisti, collaboratori, amici della galleria, non certo con l’intento celebrativo quanto nel dare spazio alle esperienze partecipate con quell’approccio genuino che si riflette nelle opere stesse di questa particolare kermesse. Certamente è presente in un’opera come Iron Flower (2016), realizzata da Sislej Xhafa recuperando i tombini di ferro dal pavimento ligneo della platea del Cinema Teatro Nuovo (sede della galleria Continua dal 1995) per creare dei fiori di metallo. «Credo che Continua sia una continuità e questa è la loro forza ed energia. C’è sempre una magia, ma c’è stato soprattutto il coraggio di aprire uno spazio a San Gimignano quando avrebbero potuto scegliere Roma o Milano. Se oggi tutto il mondo cerca le periferie, loro sono stati pionieri di questo viaggio straordinario che è anche quello di reinventarsi nel tempo e gli artisti ne sono complici. Loro sono i binari, noi i treni», afferma Xhafa.

Sislej Xhafa, «Iron flower», installation view (ph Manuela De Leonardis)

Ogni artista che ha esposto in questo luogo così connotato ha avuto la possibilità di viverlo e confrontarcisi liberamente, magari stravolgendolo. Un esempio è il tappeto di quintali di banane con cui Gu Dexin, ha ricoperto l’intera platea dell’ex cinema-teatro degli anni ‘50. Il titolo 2007-01-13 corrisponde alla data dell’installazione, quando l’opera effimera ha iniziato la sua trasformazione e decomposizione di cui rimane testimonianza nell’immagine fotografica. All’originaria funzione di questo luogo pubblico destinato alla visione di film rimandano, in particolare, le opere di Sudoph Gupta e Hiroshi Sugimoto. Il primo, attraverso la replica in metallo dorato di vecchie bobine Ferrania, proiettori e altre attrezzature messe in dialogo con gli originali (There is always cinema, 2008); Hiroshi Sugimoto, invece, con la sua personale chiave di lettura del «vuoto assoluto» attraverso la pulizia formale della foto in bianco e nero Cinema Teatro Nuovo, San Gimignano (2014), dove le immagini del film che scorre sullo schermo sono sintetizzate dal fotogramma astratto.

Sul bianco e nero è giocata anche la poetica opera Il mantello della Regina delle Nevi di Sabrina Mezzaqui, presentata per la prima volta a San Gimignano nel 2012 e accompagnata dal video che mostra il lavoro collettivo che l’artista ha condiviso con una decina di persone: ogni singolo fiore del mantello è fatto a mano, tagliando e piegando fogli di carta, uniti da fili e perline. In occasione della preview di The ability to dream l’ex cinema-teatro in via di Castello è tornato ad essere un cinema e sullo schermo, davanti al velluto rosso del sipario chiuso, si sono alternati volti, opere, aneddoti.

Una grande famiglia

Anche chi scrive è stata testimone delle dinamiche di questa «grande famiglia» quando, negli ultimi dieci anni, non solo ha avuto la possibilità di incontrare e intervistare artisti straordinari – Qiu Zhijie, Kiki Smith, Hiroshi Sugimoto, Kader Attia, Sudoph Gupta, Nikhil Chopra, Moataz Nasr, Hans Op de Beeck, Anish Kapoor, JR, Nedko Solakov, Pascale Marthine Tayou, Nari Ward, Carlos Garaicoa, Serse, Giovanni Ozzola – ma di mangiare allo stesso lungo tavolo insieme a loro, gli assistenti, gli operai e il resto del team della galleria, gustando i piatti preparati dalla mitica signora Marisa: la ribollita, i crostini di fegatini toscani, i fagioli all’uccelletto. «Immagine sonora», poi, quella di Sugimoto quando, durante una cena riservatissima allestita sul palcoscenico, alzò il calice intonando ‘O sole mio con voce da tenore.

Frammenti di vita che s’intrecciano alle esperienze professionali: le racconta Silvia Pichini che sarebbe limitante definire solo responsabile della comunicazione. Lei, sinologa, è negli ingranaggi della galleria sin dalle prime «follie», quando tutti facevano di tutto. Così, Silvia, ricorda la bellissima avventura con Shozo Shimamoto che le donò quella fotografia che è sempre con sé e anche di quando andò a prendere Giovanni Anselmo alla stazione di Firenze con la sua Panda. Sulla Siena-Firenze bucò e senza pensarci due volte, non sapendo come risolvere il problema, chiese al protagonista dell’Arte Povera di cambiare la ruota: «lì è uscito fuori non solo il grande artista, anche l’uomo meraviglioso perché con classe, senza batter ciglio, si mise a cambiare la ruota e arrivò in galleria tutto sporco».

Arriva Chen Zhen

L’entusiasmo e la sfacciataggine sono gli ingredienti basilari di qualsiasi sfida, come ricorda Xu Min, vedova di Chen Zhen: «Era l’estate del 1999, io e Chen Zhen stavamo facendo la siesta, il telefono suonò. Chen Zhen alzò la cornetta e sentì dall’altra parte una voce vivace, cordiale e piena di energia: Sono Lorenzo, della Galleria Continua di San Gimignano, vorrebbe fare una mostra con noi? Chen Zhen, che era sempre molto gentile e diplomatico, ringraziò per l’invito e chiese di inviargli della documentazione sulla galleria. In quel momento era in contatto con altre gallerie italiane che volevano lavorare con lui, ma non aveva ancora deciso quale scegliere. Lorenzo rispose che gliela avrebbe mandata subito. Detto fatto! Un paio di giorni dopo ricevemmo una busta contenente delle grandi foto con gli spazi della galleria, la lista degli artisti e il programma. Leggendo i nomi Chen Zhen si sorprese, chiedendosi come poteva fare una piccola galleria a lavorare con tutti quegli artisti noti come Daniel Buren e quelli dell’arte povera.

Così decise di chiamare Daniel Buren per sapere qualcosa in più: lui confermò che si trattava di tre giovani pieni di energia e che se fosse stato lui a dover scegliere, avrebbe senza dubbio lavorato con la Galleria Continua. L’energia della telefonata ci aveva colpito ma non avevamo ancora avuto il tempo di richiamare Lorenzo, quando fu di nuovo lui a far squillare il telefono e a dire che la data della mostra era stata fissata: sarebbe stata il 10 ottobre 2000. Quando venite a trovarci? Chen Zhen rimase talmente colpito che accettò di fare un sopralluogo e la mostra. Pochi mesi dopo atterrammo a Firenze e Lorenzo, accogliendoci all’aeroporto a braccia aperte, ci fece sentire come quando si ritrova un vecchio amico. I momenti vissuti insieme, da lì in poi, sono stati tutti molto intensi e di grande qualità».