Non si chiamerà congresso, anche perché altrimenti i tempi sarebbero molto più lunghi. Ma la Conferenza programmatica che il Consiglio federale della Lega convocherà stasera, entro dicembre a Roma, sarà un congresso in tutto tranne che nel nome. Ci saranno ministri, amministratori, deputati ed eurodeputati: tutti gli ufficiali del Carroccio.

Il Consiglio federale di oggi non sarà dunque il luogo della resa dei conti con il ministro dello Sviluppo economico, né del resto era nato con questa intenzione. In realtà era stato deciso prima che la bomba Giorgetti esplodesse ed è stato poi furbescamente fatto passare per convocato in conseguenza di quelle dichiarazioni. Però potrebbe preparare l’arena per lo showdown.

DI CERTO STAVOLTA Matteo Salvini ha preso l’attacco male. Il leader non parla ma replica con i fatti: una videoconferenza con l’ungherese Viktor Orbán e il polacco Mateusz Morawiecki in vista di un possibile nuovo gruppo di destra all’Europarlamento. Un nuovo passo verso l’obiettivo dell’eurogruppone di destra che insegue da settimane e dunque anche un passo nella direzione opposta a quella suggerita e invocata da Giorgetti: la «normalizzazione», l’istituzionalizzazione europeista, l’avvicinamento al gruppo del Ppe.

Ma se il capo non risponde a Giancarlo Giorgetti, a raccontarne gli umori ci pensa la cerchia che gli è più vicina: davvero irritatissimo ed esasperato. Tanto che lo stesso Giorgetti tenta di fare un passo indietro impugnando la più abusata tra le giustificazioni: «Sono stato travisato con spezzoni dell’intervista estrapolati». In questo caso però equivocare era molto difficile. In realtà Salvini è meno imbestialito di come lo descrivono. Oggi non ci saranno votazioni di sorta e il leader preferirebbe smussare, pur evitando ambiguità. Sono proprio i dirigenti dell’ala sovranista e insistere perché l’assemblea si risolva in un processo al reprobo.

LA FURIA DI SALVINI sarebbe in realtà comprensibile. La mossa di Giorgetti rischia di rendergli tutto più difficile su ciascuno dei molti fronti sui quali il leader è impegnato in un momento di massima difficoltà, quando i sondaggi registrano nuove emorragie di consensi e addirittura un ritorno del Carroccio alle percentuali del 2018.

La competizione con Giorgia Meloni, pur tenuta in sordina dopo la sberla delle comunali, prosegue. La campagna per il gruppo all’europarlamento, di difficile pur se non impossibile costituzione, serve anche, se non soprattutto, a confermarlo come leader della destra riconosciuto dagli alleati europei. Se il gruppo di cui si è parlato ieri nascesse davvero il partito polacco Pis dovrebbe abbandonare il gruppo Ecr, presieduto proprio da sorella Giorgia: uno scippo in piena regola. L’invito a invertire la rotta in Europa da parte del più autorevole tra i dirigenti leghisti certo non aiuta.

SUL FRONTE DEL QUIRINALE, Silvio Berlusconi, che sta costruendo la sua operazione, è imbufalito. Certo, se Mario Draghi fosse in campo appoggiato da tutto o quasi il parlamento si vedrebbe costretto a ritirare la sua ancora non ufficializzata candidatura. Ma nel malaugurato caso a gestire la vicenda, in veste di king maker, vuole essere lui.

Neppure Meloni si è fatta allettare dall’esca presidenzialista: «Un presidenzialismo de facto, imposto dall’alto, non mi convince». Anche nella marcia di Salvini per confermare la leadership sulla coalizione, la posizione di Giorgetti è dunque quasi uno sgambetto.

Nei rapporti con il governo, infine, la posizione si conferma più che mai divaricata. Salvini non vuole rinunciare alla guerriglia, in particolare si prepara all’offensiva per modificare il Reddito di cittadinanza. Il ministro dello Sviluppo economico è stato sorpreso martedì sera a cena con il collega responsabile degli Esteri, Luigi Di Maio.

I due hanno in comune, dalle rispettive sponde, la fede draghiana ma è evidente che l’attacco a un elemento cardine dei 5 Stelle come il Reddito di cittadinanza rovinerebbe ogni possibile dialogo e sarebbe preso molto male anche da Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco: già devono vedersela con i malumori dei pentastellati che vogliono modificare la misura il meno possibile.

GIORGETTI SI DICE «spiazzato» dalle reazioni alla sua intervista, dettate appunto, sostiene, da equivoci. Ieri si era sparsa anche la voce di una sua assenza nella riunione del Consiglio federale di oggi ma i collaboratori smentiscono e assicurano che ci sarà.

Il ministro di qui alla conferenza-congresso insisterà soprattutto su quella che per lui è la questione chiave: la fedeltà a Draghi sia come premier, e qui avrà gioco abbastanza facile, che come possibile presidente della repubblica.