Gli accadimenti di Macerata inducono a riflettere sulla destra estrema. Sempre più frequenti sono le adunate in camicia nera. Rimane ancora modesta la dimensione quantitativa del fenomeno.

E non è nella rievocazione di svastiche, croci e rituali di inimicizia assoluta che al momento risiede l’effettiva insidia portata dalla destra nera alla tenuta di strutture di potere dal senso smarrito.

La mancanza di uno scontro militarizzato per la conquista del potere non cancella tuttavia la domanda di come arginare i simboli del passato che riaffiorano nella specifica crisi delle democrazie.

Il fascismo classico è stato solo una peculiare manifestazione di una crisi lunga che ha attraversato la prima metà del Novecento combinando sovversivismo dall’alto e seduzione dal basso per il trascinamento carismatico.

Le milizie furono soprattutto un movimento di reazione alla sfida rossa che, nella crisi di rappresentanza, raccolse paure, incertezze, sino a occupare il palazzo con il cedimento dei custodi dell’ordine monarchico-liberale. Senza una minaccia rossa che scardina l’ordine proprietario è impensabile una risposta di tipo fascista per la conservazione della cittadella borghese.

Per questo, dopo i fatti di Macerata, la domanda da porsi non è se esiste un pericolo imminente di un’onda nera che avanza proponendosi come un regime alternativo alle traballanti liberaldemocrazie.

Senza un nemico rosso da abbattere con tutte le armi della repressione squadristica, è impensabile il fascio come stato di eccezione per ristabilire legge e ordine.

I fenomeni non assumono mai le medesime caratteristiche. E anche le forme politiche involutive sono in grado di esibire le maschere più diverse per attecchire. Non sempre è necessaria la tecnica del colpo di Stato o la manovalanza delle milizie nere per governare il disordine e imporre la reazione politica.

Il fascismo storico postulava la striscia rossa che avanzava minacciosa nelle fabbriche e nelle campagne con una promessa di redenzione. Oggi le democrazie non soffrono per un eccesso di conflitto che mette in pericolo la persistenza dell’assetto proprietario.

Il dominio del capitale è così totale che, per le grandi corporation, è possibile progettare il braccialetto come forma estrema di controllo sul corpo che lavora. E nella politica non ci sono contese ideali accese, alternative drammatiche nella loro posta in gioco.

Senza bisogno di finanziare un assalto armato alle aule grigie del parlamentarismo, che da sole già languono nello svuotamento funzionale, le potenze del capitale conquistano il controllo della stanza dei bottoni, rimasta da tempo svuotata per i cedimenti continui di sovranità.

A che serve una destra militarizzata se il potere non è conteso, se la disobbedienza non scalda inimicizie e ovunque proprio gli esponenti delle agenzie del capitale afferrano da soli il comando con le banali tecniche del marketing?

Nella banalizzazione della contesa elettorale, nel disarmo della politica organizzata, nello spegnimento della conflittualità sociale, non c’è bisogno di altre misure eccezionali per conservare il potere già subalterno alle compatibilità dei mercati.

Perché la ripresa della destra radicale allora?

Il confronto tra l’élite tecnocratica e la destra populista avviene, non solo in Europa, all’interno di un codice (economico-sociale) saldamente condiviso.

Entrambe le postazioni (l’alto e il basso della piramide) postulano, come soluzione ottimale ai dilemmi della globalizzazione, l’azzeramento del fisco per meglio liberare il capitale nella sua follia creativa. Salvini agita la ruspa contro i nomadi ma invoca l’abbattimento della tassazione per il capitale.

La destra radicale serve cioè alla destra normale per coprire l’accumulazione di ricchezze difficilmente giustificabili e orientare il risentimento dei ceti precarizzati, e privati di diritti, contro gli altri, contro le «culture aliene» che invadono la «patria».

Così, proprio mentre lo Stato diventa minimo, il Welfare declina, i diritti sono annichiliti, i ceti colpiti dalla cura nichilistica del capitale non reagiscono, anzi al conflitto di classe per resistere nelle loro conquiste più antiche preferiscono il risentimento contro l’irregolare.

Da quando il capitale è diventato anche imprenditore della paura, la destra radicale è una sentinella utile per distribuire passioni tristi tra i poveri e spegnere nei subalterni ogni volontà di riscatto.

Le funzioni tradizionali dei fascismi storici sono oggi garantite senza bisogno di spegnere gli istituti di un regime liberale che diventa spesso una «democratura» con l’egemonia assicurata dalla alleanza tra il materiale (il dominio del capitale) e l’immaginario (la percezione di mutamento di «razza» dovuto a invasioni).

La sinistra dovrà rinascere dal combattimento di questa saldatura delle due destre che rendono il capitale sia sistema che antisistema.