Da «papà» querela lo scrittore Saviano – sebbene su carta intestata del Viminale -, da «padre» trattiene per giorni in mare 177 migranti «per la sicurezza dei miei e dei vostri figli», da «papà» parteciperà al congresso degli oscurantisti di Verona, da padre a voleva regalare ai figli il ritorno alla lira, (letteralmente, anno 2014: «O torniamo alle monete nazionali o si fa l’euro a due velocità con Spagna, Francia, Grecia, e Austria»). Quando Salvini parla di sé come papà è un automatismo: sta per dirne una contro la convivenza civile.

COSÌ È ANDATA IERI. Indispettito dalle domande dei cronisti, di colpo ha dimenticato la retorica paternalistica e ha sfottuto con improvvisa durezza Rami Shehata, il tredicenne di Crema che – insieme a Adam e agli altri compagni di classe – giovedì ha dato l’allarme ai genitori e ai carabinieri ed è riuscito a evitare la strage del bus di San Donato. Agli occhi di Salvini Rami è colpevole di dire con semplicità ragazzinesca cose che ridicolizzano la narrazione leghista dell’italiano di origine straniera, cattivo e infìdo: invece ha salvato i compagni, con loro, in un formidabile lavoro di squadra, ha sventato quella che poteva essere la strage di minori più sanguinosa della storia d’Italia recente, guerre comprese. Una strage che, certo, sarebbe stato un tragico assist alle politiche razziste del governo. Per fortuna, e grazie ai ragazzini, non c’è stata.

AL CORRIERE DELLA SERA Rami racconta, comprensibilmente, che la cittadinanza italiana «è il mio sogno», «ma allora dovrebbero darla anche a mio fratello e ai miei compagni di classe di origini straniere che vivono in Italia da tanto tempo e magari sono pure nati qui», aggiunge.

INSOMMA RAMI chiede lo ius soli per tutti quelli nella sua condizione. Per lui il vicepremier Di Maio si è impegnato a sentire il premier Conte per far arrivare la cittadinanza «per meriti speciali», cosa peraltro assai complicata dopo il decreto Salvini ma che il Viminale ha fatto sapere di voler accelerare.

MA UNA COSA è la vicenda specifica, una cosa è la riflessione più generale sulla condizione di Rami. E così alla sola evocazione dello ius soli, Di Maio si irrigidisce e si attesta sul Piave del «non è nel contratto di governo».

SALVINI INVECE perde la brocca, si irrita, si dimentica di parlare «da padre» e di ragazzini che tutto il paese considera – giustamente – «eroi». «È una scelta che potrà fare quando verrà eletto parlamentare», replica a brutto muso, «Per intanto la legge sulla cittadinanza va bene così come è. Si può aprire la possibilità di discuterne? Assolutamente no». Anzi per rappresaglia lascia scivolare una minaccia neanche tanto velata: sulla cittadinanza a Rami «stiamo facendo tutte le verifiche del caso perché prima di fare scelte così importanti bisogna aver controllato tutto e tutti».

SUI SOCIAL si scatena l’indignazione bipartisan contro le parole di Salvini che fa «il bullo» contro un ragazzino. E anche – stavolta solo da sinistra – contro l’idea di cittadinanza come premio, che si dà e si toglie discrezionalmente agli stranieri, anziché come diritto per requisiti: «Non può essere una gentile concessione, un premio per chi compie gesti eroici», spiega Riccardo Magi (+Europa). D’accordo con lui tutte le associazioni. Si scatena anche l’ira del Pd. contro l’atteggiamento da «monarca» del ministro.

L’EX MINISTRO DELRIO si spinge fino a chiedere al nuovo segretario dem Nicola Zingaretti di riprendere la battaglia per lo ius soli. Lacrime di coccodrillo, particolarmente irricevibili, perché sono stati i governi a guida Pd ad accantonare la legge sullo ius soli per paura di pagarla in termini elettorali. Se l’avessero fatto, Rami e i suoi compagni sarebbero già di diritto quello che sono di fatto, giovani cittadini italiani.