Attende di essere sicuro che Conte, Di Maio e Zingaretti stiano davvero per incontrarsi a Palazzo Chigi prima di lanciare l’ultimo appello, l’ultimo avvertimento. È ora di cena quando Matteo Salvini apre la diretta Facebook dalla conferenza stampa che ha da poco convocato al Senato per ribadire ai suoi ex alleati di governo che se si tratta di discutere di contenuti, di riduzione del numero dei parlamentari o degli altri punti del patto stipulato a inizio legislatura, «noi facciamo volentieri non uno ma mille passi avanti».

Consapevole che «l’accordo probabilmente non è ancora chiuso perché manca la spartizione delle poltrone», Salvini ricorda che la Lega «ha fatto il possibile e l’impossibile», che era disposta, e lo sarebbe ancora, perfino a «sacrificare ben sette suoi ministeri». Ma, aggiunge, se la questione è invece «dover far rientrare dalla finestra il Pd e Renzi, che gli italiani hanno bocciato in tutte le elezioni, nazionali, regionali, comunali ed europee», e dare seguito ad «un accordo nato a Bruxelles e imposto da Merkel e Macron per riportare indietro l’Italia», allora non c’è alternativa al voto.

È quanto ribadirà anche al presidente Mattarella durante il secondo giro di consultazioni, assicura il leader del Carroccio che ancora cerca di tenere a bada il «Truce» e sfoggia la sua aura più “pasionaria”. «Il cuore viene prima del calcolo materiale e spartitorio. Chi ha paura degli italiani? Chi ha paura del voto? Questo è un tradimento della volontà popolare».

«È un classico ribaltone», accusa. E poi ancora: «La dignità non è in vendita. Se si pensa di cambiare questo Paese con il partito delle banche, dei poteri forti e dei bambini portati via ai genitori, auguri. Se fai accordi contro natura, con il Pd e Renzi, fino a ieri nemico pubblico numero uno, ci metti poco o tanto ma alla fine vai a casa. Noi non ci accontentiamo di governicchi che hanno come unico collante “tutti tranne Salvini”. Sfido a trovare un solo italiano che senza ridere affermi che quella Pd-M5S-Leu è una maggioranza seria, compatta, coerente, che va avanti per tre anni. Si può rinviare il voto di un mese, tre mesi, un anno, ma prima o poi si voterà».

Il leader della Lega potrebbe quasi sembrare di nuovo a braccetto con un ritrovato equilibrio, ma è l’impressione di un attimo. Dice tutto e il contrario di tutto: stigmatizza «senatori e deputati che pur di non andare a casa sono pronti a votare un governo “laqualunque”», ma poi insinua il dubbio che tutti i «no» del M5S fossero «telecomandanti da altre città al di fuori dei confini italiani». E accusa pure i grillini di essersi scoperti «una costola della sinistra».

Al punto in cui stavano le cose ieri sera, Salvini se ne guarda bene dall’usare i toni barricaderi di Giorgia Meloni (FdI) o della ministra della Famiglia, la leghista Alessandra Locatelli, che incitavano «il popolo» ad «insorgere il prima possibile» e assicuravano di essere pronte a scendere subito in piazza nell’ipotesi di un governo giallo-rosso. Eppure, dopo aver rivendicato come sacrosanta la crisi aperta con i 5 Stelle e averli sfidati a fare ora i rivoluzionari insieme «a Renzi e Prodi», Salvini lancia il sasso e nasconde la mano: «Io mi occupo di tranquillità e sicurezza, non di insurrezioni popolari. Certo, se gli italiani riterranno una schifezza questo accordo, liberi di farla (l’insurrezione, ndr). Non posso entrare nelle menti e nei cuori degli italiani».