In politica la matematica non è una scienza esatta. Prendiamo l’exploit della Lega in Emilia Romagna. Valutando i dati assoluti e non quelli relativi, il partito di Matteo Salvini ha ottenuto il record storico di consensi non ieri ma alle elezioni regionali del 2010: con un’affluenza alle urne al 68,1%, prese 288 mila voti, ben 55 mila in più rispetto al voto di domenica scorsa.

Ma il clamoroso dato dell’astensione racconta tutta un’altra storia: oggi, con l’affluenza crollata al 37,7%, i 233 mila voti leghisti significano un clamoroso 19,4%. Con più del doppio dei voti di Forza Italia (ferma all’8%), la Lega supera il Movimento 5 Stelle (13,3%) e diventa il secondo partito nella regione che un tempo veniva definita «rossa». Il Pd in quattro anni è passato da 857 mila a 535 mila voti (-38%).

Bastano questi numeri per dare ragione a Matteo Salvini quando parla di «risultato storico». E non è la solita tracotanza leghista che poi lo spinge a provocare l’altro Matteo: «Se fossi in Renzi mi preoccuperei, le promesse cominciano ad avere le gambe molto corte».

Ma è il confronto con il recente passato a confermare il trionfo leghista, che va ben al di là di una semplice tornata elettorale. Sempre restando in Emilia Romagna, alle ultime politiche, nel febbraio 2013, la Lega prese appena 69 mila voti e si fermò al 2,6%, mentre alle europee dello scorso maggio conquistò ben 116 mila preferenze (fermandosi però al 5%). Oggi, con 233 mila voti, ha il triplo dei consensi rispetto a meno di due anni fa e il doppio rispetto a sei mesi fa. Sono numeri che terremotano il centrodestra (e dovrebbero interrogare la sinistra).

C’è chi si felicita come di fronte a un miracolo, sono i colonnelli di un partito che era dato per morto: «Adesso Salvini è la Lega e la Lega si candida ad essere punto di riferimento per il centrodestra in futuro» (Roberto Maroni). E c’è chi sta perdendo la testa, oltre che il consenso, come il deputato del Ncd Fabrizio Cicchitto: «Salvini mi fa politicamente schifo». Quanto a Forza Italia, il partito di Berlusconi è letteralmente allo sbando.

Anche il leader più coccolato del momento (in tv sta oscurando perfino Renzi) chiacchierando qua e là si fa prendere la mano con accenti celoduristi, ma è comprensibile: «Il nostro obiettivo è il 51%». E ancora: «L’Europa non è riformabile, bisogna abbatterla». Questa è l’ora dei proclami, e ci sta pure, però è un’altra la cifra del discorso che dice fino a che punto il giovane Matteo abbia imparato a farsi ascoltare sia dall’elettorato di destra che da quello potenzialmente di sinistra. Come il gatto e la volpe. Per esempio quando da Vespa, nel giorno del suo trionfo, riesce a far sembrare il capo del Pd un analfabeta della democrazia: «Il dato sull’astensione è devastante, quando due elettori su tre decidono di restare a casa è una sconfitta per tutti, al contrario di Renzi che gongola e twitta io dico che il dato non è secondario, significa che anche io devo fare di meglio per coinvolgere i cittadini».

O quando da milanista sfegatato maramaldeggia con uno dei suoi maestri: «Non ho sentito Berlusconi, è stato meglio, anche perché non aver vinto questo derby è una roba da matti e mi avrebbe portato ad essere un po’ incazzato». Giocando sul suo stesso terreno: «Rimpiango i tre stranieri in campo, sarebbe un toccasana per i calcio italiano, la metà dei giocatori a San Siro non ho nemmeno capito chi fossero». Oppure quando parla di fabbriche e lavoratori, essendo rimasto l’unico leader politico che va nei talk show a pronunciare la parola «operai» come fosse roba sua (Landini a parte, ma lui di politica non ne vuol sapere).

Mai la situazione è stata così favorevole per la Lega, con Berlusconi in picchiata e il M5S che lentamente rischia di sgretolarsi cedendo una parte del suo elettorato a questa nuova destra popolare. Eppure il leader si schermisce, ha imparato a non strafare, en passant cita anche Obama – «sì, si può». Non si sente l’unto del Signore del centrodestra, «lo decideranno gli italiani nelle piazze scegliendo il programma», e finge di non voler attaccare i due leader in difficoltà, «non mi appassiona, preferisco riconquistare la fiducia degli elettori rimasti a casa». Fa il superiore. Il suo obiettivo è un altro: «Da oggi ci sentiamo parte di un progetto che non guarda solo al nord ma a tutta Italia. E’ una bella sfida, quando Renzi è pronto noi siamo pronti».

E la prossima felpa sarà uguale alla divisa della nazionale di calcio.