Matteo Salvini attacca e almeno un obiettivo momentaneo lo incassa. La corsa del Green pass obbligatorio nei luoghi di lavoro si è fermata ieri mattina, dopo un colloquio fra il leader della Lega e Mario Draghi, proprio mentre alla Camera i leghisti rimettevano in scena, raddoppiandolo, il dissenso del giorno precedente: voto a favore di due emendamenti, uno di Alternativa, l’altro di FdI, per eliminare l’obbligo del lasciapassare sanitario tra i 12 e i 18 anni. Gli emendamenti sono stati respinti ma il segnale politico era chiaro e per rincarare la Lega minacciava l’astensione nel voto finale sul provvedimento e quello sì che sarebbe uno strappo con tutti i crismi.

Nel colloquio Draghi ha chiesto senza giri di parole al leghista di evitare. Salvini ha messo sul tavolo, altrettanto apertamente, un passo indietro sulla decisione di varare oggi stesso, in un colpo solo, l’allargamento del Green pass obbligatorio a tutto il lavoro, settori pubblico e privato. Il presidente del consiglio ha accolto la richiesta del leader della Lega. Salvini quella del premier. Uscito da palazzo Chigi ha spiegato lui stesso ai cronisti: «Ho parlato con Draghi: non risulta alcuna estensione del Green pass a tutti i lavoratori del pubblico e del privato. E l’obbligo vaccinale escludo che si arrivi a discuterlo».

Il leghista non parlava a vanvera. Il consiglio dei ministri è fissato per oggi ma la cabina di regia invece non è stata convocata e quasi certamente, anche se è ancora possibile, non lo sarà all’ultimo momento: segno eloquente della decisione di evitare l’allargamento immediato. Certo se ne comincerà a parlare, ma tempi e modi sono di nuovo tutti in discussione. Il governo, oggi, si limiterà a una mini estensione della carta verde che è in realtà solo un ritocco. Sarà sancito l’obbligo per i lavoratori delle mense e delle pulizie scolastiche e universitarie, categorie sfuggite al primo decreto. Ma non si deciderà niente neppure per i settori che sembravano sul punto di essere coinvolti anche prima del fallito tentativo di chiudere subito l’intera partita: i ristoratori e il pubblico impiego. Il governo ripiega sulla strategia precedente, quella illustrata dal ministro della Salute Roberto Speranza in tv ancora martedì sera, consistente nel procedere per gradi e piccoli passi. Salvini onorerà la sua parte del patto oggi alla Camera, evitando l’astensione leghista nel voto finale sul primo decreto sul Green pass.

Ma il problema di Draghi non è solo la Lega. Forse, anzi, la resistenza del leghista non è neppure l’ostacolo più grosso. Il punto davvero delicato è che un intervento sui luoghi di lavoro senza il semaforo verde delle parti sociali non si può fare, come ha ammesso chiaramente lo stesso premier nell’ultima conferenza stampa. Quell’accordo, per ora, non c’è. I sindacati si sgolano per assicurare di non aver nulla contro il Green pass, ma solo «in linea di principio». Nel concreto, però, vogliono un pass che non preveda «discriminazion»”, cioè senza sanzioni per chi dovesse trasgredire.

Per il momento, dunque, quello delle Confederazioni è un sì formale che suona come un no di fatto.
Va da sé che Draghi non può cedere su una richiesta che spoglierebbe il Green pass del suo reale significato: senza la minaccia di sanzioni la costrizione mascherata a vaccinarsi, che è la ragion d’essere del lasciapassare sanitario, verrebbe meno. Ma il premier non vuole cedere neppure sull’altra e meno proibitiva richiesta avanzata sia dai sindacati che da Confindustria: quella del tampone gratuito.

Troppo costoso. Troppo condiscendente con i No Vax. Ma senza l’accordo con le parti sociali l’estensione del passaporto verde obbligatorio ai luoghi di lavoro è quasi impraticabile, tanto più con una maggioranza divisa. Tentare l’affondo oggi sarebbe stato ad altissimo rischio e il pragmatico di palazzo Chigi se ne è reso conto per tempo. La trattativa è appena cominciata e sarà una trattativa vera, non come quelle degli ultimi mesi.

Matteo Salvini porta a casa un risultato, sia pur effimero. L’ala sinistra della maggioranza è furibonda e tutti, da Giuseppe Conte ai vertici del Nazareno, invocano un intervento drastico di Mario Draghi. Cresce l’irritazione per gli equilibrismi della Lega, certo, ma anche perché la consonanza tra la linea dei sindacati e quella della destra non può certo far piacere al Partito democratico.