Incontro a sorpresa nonché «utile, positivo, cordiale». Dopo essersi tutt’al più sfiorati per settimane Salvini e Di Maio si sono visti ieri e l’incontro segna senza dubbio un riavvicinamento, anche se è presto per parlare di pace e di rischi di crisi fugati. Non ci sarà invece l’incontro previsto per oggi tra i due e il premier Conte: se ne parlerà probabilmente lunedì. Come non ci sarà la riunione del consiglio dei ministri che continua a slittare da 15 giorni: dovrebbe essere martedì, chissà. Ma la decisione di limitare il primo vertice postelettorale ai due soli vicepremier senza aspettare il ritorno di Conte è significativo. Nella geometria del governo il riaccostamento tra i duellanti della campagna elettorale implica una spintarella verso il margine del capo del governo, e del resto lo si era già capito quando, dopo la conferenza stampa di palazzo Chigi, Di Maio non aveva quasi speso una parola a sostegno di Conte.

SU COSA ESSENZIALMENTE si basi il raggio di sole che per la prima volta da mesi buca i nuvoloni addensati sulla maggioranza lo rivela il comunicato congiunto diramato al termine dell’incontro. La priorità «per il rilancio del Paese è il taglio delle tasse: servono misure straordinarie e nessun aumento delle tasse».

Sembra ed è una risposta precisa a Dombrovskis che, in un’intervista pubblicata ieri, diceva fuori dai denti che «il governo italiano deve cambiare traiettoria di bilancio» e «la Flat tax porterebbe ulteriori conseguenze negative». Ma il commento più preciso alla lettera europea si rintraccia in un altro passaggio: «I maggiori incassi dell’Irpef e dell’Iva e la diminuzione della disoccupazione ci dicono che siamo sulla buona strada». L’indicazione di Bruxelles era opposta: «L’Italia cambi strada». Del resto sia Salvini che Di Maio già dal mattino avevano usato toni ben più ruvidi di quelli adottati a caldo dopo l’arrivo della missiva europea.

«IL GOVERNO DEVE andare avanti», giurano i di nuovo amici e se non è detto che ci riescano è certo che ci proveranno davvero e che questo assicurerà Salvini se, come è probabile, nei prossimi giorni Mattarella lo incontrerà e gli chiederà una parola chiara. La disponibilità a cercare sul serio la pacificazione deriva essenzialmente dalla trasformazione imprevista del quadro complessivo dopo le elezioni. Da un lato Salvini si è trovato in Europa in una condizione di debolezza opposta alla forza consegnatagli dagli elettori in patria: non solo i sovranisti non hanno sfondato ma non è stato possibile neppure unificarli in un gruppo unico che avrebbe comunque costituito un non trascurabile elemento di pressione. Allo stesso tempo, e di conseguenza, la commissione, dopo aver mostrato per mesi un volto conciliante, quasi arrendevole, è passata repentinamente alla linea durissima.

LA MINACCIA di procedura per debito, cioè di commissariamento e perdita totale di sovranità del governo italiano, è allo stesso tempo estrema e concreta. Ma non mente Moscovici quando, con toni tanto melliflui quanto minacciosi, assicura di non volere affatto che la procedura scatti ma che «sta al governo italiano evitarlo». «La Ue non ha imparato niente dagli errori passati», va all’attacco Di Maio ma non è vero. Bruxelles ha capito dall’esperienza greca che, se non vuole seminare antieuropeismo, deve evitare, per quanto possibile, di apparire come l’istituzione che castiga. Il progetto sarebbe piuttosto quello illustrato da Moody’s: «Il mercato sarà più efficace della lettera nel fare pressione sul governo italiano».

La tempistica gioca un ruolo importante. Martedì si riunirà il Comitato economico e finanziario per confermare la richiesta di procedura. Nello stesso giorno Tria riferirà alle Camere e le sue parole saranno ascoltate con massima attenzione a Bruxelles. Poi la palla tornerà alla Commissione per la formalizzazione della richiesta, quindi dovrebbe essere Ecofin a dire l’ultima parola il 9 luglio. Potrebbe però rinviare sino al primo agosto e a quel punto la pausa estiva regalerebbe qualche settimana in più. Settimane di rosolamento, con la prospettiva e forse l’auspicio che i mercati si occupino di bastonare a dovere il governo italiano.

Tria tenterà di tirare il governo fuori dalla trappola con una mediazione non troppo al ribasso. Un «dialogo costruttivo che rimetta al centro gli interessi degli italiani», recita la nota dei due leader. Per reggere l’urto Salvini deve disporre di una maggioranza di seggi e di elettori sonanti a prova di bomba. Solo difendendo l’asse con Di Maio, e contando sul sostegno esterno di FdI e di una parte di Fi, può farlo. «Si sono trovati d’accordo nella scelta di tenere duro», commentavano ieri sera i beniformati di entrambe le parrocchie. Il segreto della riconciliazione è tutto lì.