Il secondo giro di consultazioni del Quirinale parte non solo nel buio più profondo, ma anche flagellato da venti di guerra che complicano la situazione. Il giro vero e proprio si svolgerà tutto in giornata. Mattarella sentirà tutti i partiti, chiudendo con i tre decisivi. Poi ci penserà sopra e domani, nella seconda giornata, impegnata solo con i vertici istituzionali darà corpo alle conclusioni che avrà raggiunto.

LE COSE NON SONO ANDATE come il Colle auspicava alla fine della prima tornata. Gli spiragli invece di allargarsi si sono chiusi e Mattarella inizia a perdere un po’ di pazienza. Una settimana fa aveva rinviato perché i partiti gli avevano chiesto alcuni giorni per incontrarsi. Il fatidico incontro non c’è neppure stato. Ora Mattarella vuole capire se i segnali che Salvini e Di Maio continuano a lanciarsi, salvo poi smentirli nei fatti un attimo dopo, sono costruttivi o servono solo a perdere tempo, ad addossare all’altro la responsabilità del fallimento, forse addirittura a rendere inevitabili elezioni in ottobre, dal momento che per il Quirinale la finestra del 24 giugno non può neppure essere presa in considerazione.

I tamburi di guerra in Medio Oriente, infine, non facilitano le cose. Non con un Salvini che dichiara apertamente le proprie posizioni filo-Putin, un Di Maio che ha invece giurato fedeltà alla Nato e un Berlusconi che, pur alleato di Salvini e intimamente d’accordo con lui, è costretto dall’opportunità politica a schierarsi sempre e comunque con la Ue.

DUNQUE DOMANI il capo dello Stato premerà il piede sull’acceleratore. Ma se con un incarico esplorativo istituzionale, che verrebbe affidato quasi certamente alla presidente del Senato Casellati, oppure chiedendo ai due leader che continuano a ripetere di aver vinto le elezioni di dar seguito alla vanteria assumendo un pre-incarico ancora non lo ha deciso. Dipenderà da quello che i partiti diranno oggi. Salvini e Di Maio fanno filtrare la loro indisponibilità ad accettare. Ma il presidente potrebbe in questo caso insistere perché, se non se la sentono di persona, indichino allora un altro nome. Sarebbe un gesto molto forte, teso a chiarire una volta per tutte che le elezioni non le ha vinte nessuno.

IERI, DOPO GIORNI DI GELO, è stata una giornata meno fredda nei rapporti M5S-Lega, anche se di qui a parlare di disgelo ce ne passa. I due leader si sono sentiti al telefono, si sono accordati sulla presidenza della commissione speciale della Camera, che andrà al leghista Nicola Molteni invece che, come previsto, a Giorgetti: mossa probabilmente spiegabile con la volontà di lasciare il numero due del Carroccio con le mani libere in vista della partita di governo. In realtà i due non si sono limitati a questo. Berlusconi non era stato avvertito né della telefonata, né della decisione di eleggere Molteni e tanto meno della scelta assunta da entrambi di rifiutare l’eventuale pre-incarico. Va da sé che al Cavaliere la sorpresa non è piaciuta affatto. Per oggi pomeriggio è previsto un vertice fra i tre leader della coalizione, prima di salire al Colle. Per rendere conto della tensione che circola a palazzo Grazioli, a un certo punto era addirittura circolata la voce, infondata, di un’assenza di Berlusconi dalla delegazione.

Certo, al disgelo si sono accompagnati, come al solito, segnali opposti. «Di Maio non può continuare a dire io, io, io», ha attaccato ancora Salvini. Il succitato ha risposto che lui «passi di lato» neppure li prende in considerazione e che Berlusconi «è stato sconfitto» e dovrebbe «lasciare il passo ai giovani».

SEMBRA IL SOLITO GIOCO per cui a ogni passo avanti ne corrispondono due indietro, e tuttavia ieri sera si è diffuso un certo ottimismo. Un po’ perché la richiesta rivolta a Berlusconi di cedere il passo ai giovani può essere interpretata come un ammorbidimento della posizione nei confronti di Fi se non del suo capo. Un perché lo stesso Di Maio annuncia «passi avanti», promettendo di illustrarli oggi al capo dello Stato. Se poi il leader 5S entra anche nel dettaglio affermando «non voterei mai un governo con dentro Berlusconi e Meloni», è inevitabile il sospetto che persino un’ipotesi improbabile come quella del governo Lega-M5S con appoggio esterno di Fi e Fdi venga presa in considerazione. Si vedrà oggi se e quanto l’ipotesi è concreta. Poi la parola passerà a Mattarella.