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«Salviamo il San Primo», cima del Triangolo lariano

Il monte San Primo è la cima più alta del Triangolo Lariano, quella penisola inscritta tra i due rami del lago di Como, tra Como e Lecco, 1680 metri che […]

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 15 dicembre 2022

Il monte San Primo è la cima più alta del Triangolo Lariano, quella penisola inscritta tra i due rami del lago di Como, tra Como e Lecco, 1680 metri che ne fanno un belvedere naturale unico, una zona fitta di boschi e di prati, non distante, al Pian del Tivano, alla sorgente Menaresta, nasce il Lambro.

Dagli anni Sessanta e fino ai primi anni duemila, sono stati in funzione impianti sciistici, poi abbandonati per effetto delle precipitazioni sempre più scarse, adesso, queste strutture sono uno degli schiaffi al paesaggio, là ad arrugginire. Orbene, cosa fanno le autorità, la regione Lombardia, il comune di Bellagio, la Comunità Montana del Triangolo Lariano?

Anziché provvedere a rimuovere le brutture di quegli impianti ormai carcasse, ha la geniale idea di spendere soldi pubblici, tra i vari enti, sono 5 milioni di euro, per nuovi impianti sciistici, e già che non nevica più, le spese comprendono la realizzazione di un laghetto artificiale dal quale prelevare l’acqua per i cannoni spargi-neve, le cabine elettriche necessarie, altri parcheggi, un parco giochi, tapis roulant, insomma, si ripropone una fallimentare perché già sperimentata e seppellita, gestione produttivista del territorio. Un fronte vasto e compatto di associazioni ecologiste e culturali è insorto e propone un Appello per salvare il Monte San Primo.

Ne parliamo con Roberto Fumagalli, esponente del coordinamento, segretario del Circolo Ambiente Ilaria Alpi associazione che da decenni si batte contro scempi ecologici e cementificazione. Wwf, Legambiente, Gruppo Naturalistico della Brianza, Cai, sono tante le sigle che firmano questo appello. Sul monte San Primo che ai duemila metri neppure ci arriva, spiega Fumagalli, è presumibile che con l’aumento delle temperature neppure i cannoni sparaneve saranno sufficienti ad assicurare l’operatività degli impianti sciistici previsti. Non solo: l’aumento del costo dell’energia, fatto indubitabile, a chi sarà addebitato? Si vuol forse far pagare alla collettività il fallimento certo di questa impresa?

Anziché buttare via questi milioni, dicono gli ecologisti, sarebbe meglio investirli per rimuovere gli impianti abbandonati, e poi potenziare tutta una serie di attività assolutamente sostenibili come pastorizia ed agricoltura di montagna, una buona manutenzione dei sentieri, investire nella biodiversità provvedendo a rimboschimenti con essenze autoctone. Molto meglio che costruire parcheggi, pensati per favorire il trasporto privato, evitare di consumare altro suolo, e magari istituire delle navette.

Insomma, ci troviamo di fronte a due visioni contrapposte della montagna. Una, già fallita, che pensa a valorizzare nei termini di una spesa pubblica dissennata, investimenti a pioggia ancora puntati sulla cementificazione del territorio, e l’altra, dolce, rispettosa della montagna, da vivere in armonia, in accordo con i tempi, pensandola come un patrimonio prezioso di flora, fauna, di acque, di un paesaggio unico da lasciare in eredità alle generazioni future.

Sono già stati chiesti momenti di confronto pubblico agli amministratori regionali e locali. E in futuro ci saranno altre iniziative, dopo la marcia che si è tenuta domenica scorsa con la partecipazione di centinaia di persone. Chi volesse sottoscrivere l’Appello o comunque sostenere la mobilitazione può scrivere a info@circoloambiente.org .

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