Politicamente è una rissa da osteria, nella quale piovono insulti come non s’erano mai uditi. Nel merito regna una totale confusione e per ascoltare una parola chiara del premier sulla riforma del Mes, il Fondo salvastati, bisognerà aspettare il 10 dicembre. In quel giorno era già prevista l’informativa di Conte sul Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre. Il capitoletto Mes sarà aggiunto alla lista, come da richiesta urgente non solo dell’opposizione ma anche dell’M5S. Impossibile evitare la sensazione di opacità e di fuga da un parlamento considerato terreno malcerto suscitata dalla decisione di fissare tanto in là l’informativa, oltretutto derubricandola a capitolo di una comunicazione più generale. Il 27 novembre, su sua richiesta, sarà però il ministro dell’Economia a riferire di fronte alla commissione Finanze.

NON SARANNO GIORNATE serene. Lo scontro al vetriolo di ieri garantisce l’opposto. Conte, rispondendo agli attacchi durissimi di Salvini, che lo aveva accusato di «alto tradimento», brandisce a propria volta la scimitarra: «Lo stesso partito che partecipava ai vertici di maggioranza sul tema scopre l’esistenza del Mes e grida allo scandalo. E’ un atteggiamento irresponsabile. Pretendo un’opposizione seria e credibile altrimenti è un sovranismo da operetta». Botta e risposa: «Conte è bugiardo o smemorato. A quel tavolo abbiamo sempre detto di no al Mes. Cosa teme Conte? Ha forse svenduto i risparmi degli italiani?». In mezzo alla gragnuola di sventole i 5S, dopo aver caricato sul Mes a fianco degli ex soci, appaiono smarriti. Di Maio difende Conte: «Non ha firmato niente». Però conferma le critiche: «Una riforma che stritola l’Italia non è fattibile». Poi per ore regna il silenzio. Domani, nel vertice di maggioranza sulla questione, i 5S dovranno aver risolto il dilemma per adottare una linea precisa.

NON CHE SIANO I SOLI a ondeggiare. Il governatore di Bankitalia Visco era stato perentorio appena 6 giorni fa: «I piccoli e incerti benefici di un meccanismo per la ristrutturazione del debiti sovrani devono essere soppesati considerando l’enorme rischio che il semplice annuncio della sua introduzione inneschi una reazione a catena». Ieri Bankitalia ha invertito la rotta: «Il governatore non ha espresso un giudizio sfavorevole sulla riforma del Mes, che non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani». Figurarsi cosa avrebbe detto il 15 novembre scorso se avesse espresso un «giudizio sfavorevole».

COSA ABBIA SPINTO VISCO a cambiare idea di colpo è chiaro: proprio l’«effetto annuncio» dal quale metteva in guardia esce infatti moltiplicato dalle polemiche in corso e dal suo stesso allarme. Però il governatore non è il solo a piroettare. Il presidente dell’Abi, ieri pomeriggio, era stato non solo critico ma anche palesemente furibondo: «Il mondo bancario non è stato messo al corrente. Ho letto le cose sul giornale. I problemi poi diventano tutti nostri e già ne abbiamo abbastanza. Perché il governo non ci ha consultati?». Con aggiunta minaccia letale: quella di interrompere l’acquisto dei titoli di Stato italiani: «Non li compreremo più». Poi arriva il chiarimento del ministro dell’Economia Gualtieri, che ha partecipato alle riunioni nelle quali è stata concertata la riforma in veste di presidente della commissione per i Problemi economici dell’europarlamento, e prova a stoppare ogni polemica: «Si è ingenerata molta confusione. La riforma non introduce in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario. Le condizioni per l’accesso ai prestiti non sono cambiate». E’ vero invece, prosegue il ministro, che la linea di credito aumenterà sino a 70 miliardi, permettendo così una «gestione più efficace delle crisi bancarie». Patuelli si rimangia subito l’assalto all’arma bianca: «Positivo chiarimento».

LA QUESTIONE RESTA in realtà confusa. E’ vero che non c’è alcun automatismo nell’obbligo di ristrutturazione del debito. Ma è anche vero, come sostiene Fassina, LeU, e come aveva già detto l’ex capo economista di Confindustria Galli nella sua audizione del 6 novembre in commissione, che le nuove regole assegnano ai tecnocrati del Mes e non più ai politici della Commissione la decisione sui prestiti e con condizioni tali che rendono implicitamente probabile, pur se non certa, la richiesta di ristrutturazione.

Certo l’ultima parola spetterà al parlamento, per la ratifica, e l’Italia potrà porre il veto. Ma una decisione del genere sarebbe accolta dai mercati come segnale di un alto rischio di default, con conseguenze facilmente immaginabili. La realtà è che l’opacità tipica delle istituzioni europee, sommata a quella di un governo italiano che non si fida della propria maggioranza, mettono il parlamento di fronte al fatto compiuto.