Il parlamento europeo ha approvato ieri il mandato concordato dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali con 443 voti a favore, 192 contro e 58 astensioni per avviare negoziati con il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo sulla direttiva che dovrebbe garantire ai lavoratori degli stati membri dell’Unione Europeo un salario minimo da definire paese per paese, in particolare in quelli come l’Italia, ma non solo, non sono dotati di questa misura. I negoziati dovrebbero cominciare una volta che il Consiglio avrà concordato la propria posizione.

TEMA programmatico del nuovo governo «semaforo» in Germania, dove è stato promesso un nuovo aumento a 12 euro, il salario minimo europeo dovrebbe, a parere dei deputati, rispondere a due possibilità: uno legale (cioè il livello salariale più basso permesso dalla legge) e l’altro alla contrattazione collettiva fra i lavoratori, in particolare quelli dipendenti, e i loro datori di lavoro. Il Parlamento vorrebbe anche estendere la copertura della contrattazione collettiva obbligando i paesi Ue con meno dell’80% dei lavoratori garantiti da essa a prendere misure efficaci per promuovere questo strumento.

NELL’UNIONE Europea 21 paesi su 27 paesi hanno un salario minimo legale, mentre negli altri sei (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) i livelli salariali sono determinati attraverso la contrattazione collettiva. Espressi in euro, i salari minimi mensili variano ampiamente in tutto il continente: dai 332 euro in Bulgaria ai 2.202 euro in Lussemburgo. Il Parlamento europeo ha ripetutamente chiesto un’azione legislativa su questo argomento. Una risoluzione analoga a quella di ieri è stata già adottata il 10 ottobre 2019. Un anno dopo, nell’ottobre 2020, la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva per migliorare l’adeguatezza dei salari minimi. Ora la palla torna nel campo dei governi. Questa complicata trafila riflette della costitutiva difficoltà, dovuta a una scelta politica, di affrontare i temi sociali del resto affermati nel sesto principio del Pilastro europeo dei diritti sociali, concordato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, a nome di tutti gli Stati membri, e dalla Commissione europea, nel novembre 2017.

NEL DIBATTITO a Bruxelles, prevale l’enfasi sull’impostazione diversa, data dalla Commissione Ue a partire dalla crisi economica innescata dalle quarantene per contenere la diffusione del Covid. La settimana scorsa, al momento del voto in commissione, la correlatrice del provvedimento nella Commissione Occupazione e Affari Sociali, Agnes Jongerius (Socialisti e democratici), ha detto che «è una rottura con il passato. Durante la crisi precedente, abbassare i salari minimi e smantellare la contrattazione collettiva settoriale è stata la dura medicina prescritta a molti Stati membri. Ora stiamo lottando per aumentare i salari minimi legali e per rafforzare la contrattazione collettiva». Questo orientamento, considerato insieme al fondo Sure stanziato dalla Commissione per finanziare le casse integrazioni, è un’iniziale discontinuità. Resta da capire se e quando sarà confermata.

IL TENTATIVO di considerare la contrattazione e il salario minimo sullo stesso piano è stato giudicato positivamente dai sindacati europei (Ces), «è un importante contributo alla lotta al dumping fra est e ovest e per superare i danni delle politiche neoliberali di austerità che hanno ridotto la copertura della contrattazione collettiva» ha detto Tania Scacchetti (Cgil).

VISTA DALL’ITALIA la situazione è stagnante. Ieri i Cinque Stelle hanno enfatizzato il proprio ruolo. Il voto è stato sostenuto anche dal Pd con Pierfrancesco Majorino che ha evidenziato i miglioramenti apportati al testo varato dalla commissione. Giuseppe Conte (M5S) ha fatto appello alle «forze politiche» a «votare la nostra proposta». Cosa non avvenuta quando era a palazzo Chigi. Di proposte nei cassetti ce ne sono altre. Tempo fa se ne era discusso al Senato. La discussione resta al palo tra veti e controveti. «In Germania il nuovo governo intende alzare il salario minimo – sostiene Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) – qui in Italia invece si discute del nulla, si vogliono tagliare le tasse ai redditi più alti e continua la tarantella delle pensioni a scapito di giovani, lavoratori e pensionati»