Un salario minimo per legge «se ben implementato all’interno dei meccanismi della contrattazione collettiva, non indebolisce ma rafforza la stessa». Alla vigilia dell’assemblea chiamata dal governo a discutere e votare il testo finale sul lavoro povero e il salario minimo, cinque consiglieri del Cnel (Marcella Mallen, Enrica Morlicchio, Ivana Pais, Alessandro Rosina e Valeria Termini), tra gli otto esperti nominati dalla presidenza della Repubblica, presentano una proposta per «la sperimentazione della tariffa retributiva minima» a partire dai settori più critici.

Una novità di rilievo rispetto alla linea finora emersa dal lavoro della commissione dell’Informazione, che ha approvato due documenti, uno tecnico e uno con le proposte (bocciate da Cgil e Uil) in cui si sostiene che la «mera introduzione» del salario minimo legale «non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva».

Nella loro proposta i cinque esperti premettono che il salario minimo non va inteso come sostitutivo della contrattazione collettiva ma può ricoprire un ruolo complementare e che «tutti i Paesi del G7 (tranne l’Italia) e quasi tutti i Paesi europei hanno una legislazione» sul tema. Inoltre «non esistono solide evidenze di effetti distorsivi e impatto negativo su occupazione e salari in generale».

La «tariffa retributiva minima» verrebbe introdotta in via sperimentale solo in alcuni settori, prendendo come riferimento i minimi retributivi dei contratti «qualitativamente più protettivi».

Il documento finale dell’assemblea del Cnel presieduta da Renato Brunetta una volta approvato sarà inviato alla premier Giorgia Meloni.