Le varie classifiche che ogni anno mettono puntualmente in ordine i migliori film dei dodici mesi passati, benché volatili, sono spesso un esercizio utile per riflettere su alcune tendenze o temi che hanno caratterizzato l’arte e l’industria cinematografica dell’anno precedente. Molte di quelle più importanti stilate in Giappone per i lavori usciti nel 2023, hanno visto ai loro primi posti Sekai no Okiku (Okiku and the World), lungometraggio diretto da Sakamoto Junji e ambientato nel periodo Edo, e Kubi, l’ultimo film diretto da Takeshi Kitano. Entrambi offrono una visione demistificata del periodo feudale giapponese, ma con la sua opera Sakamoto continua quell’ esplorazione e descrizione di personaggi che si muovono e abitano ai margini della società che aveva cominciato fin dal suo primo lavoro, Dotsuitarunen.

IN “OKIKU AND THE WORLD” il regista adotta una visione dal basso che si concentra sugli scarti prodotti dalla società giapponese del tempo e su come questi, le feci prodotte nelle latrine dalla classe agiata, vengono maneggiate da due giovani che le vendono ai contadini nelle campagne come fertilizzante. Tutto realizzato in un sobrio bianco e nero, con alcuni rari momenti di colore che chiazzano alcuni particolari apparentemente insignificanti, il lungometraggio segue le vicende dei due protagonisti Chuji e Yosuke, interpretati da Sosuke Ikematsu Kanichiro Sato, e del loro rapporto con la giovane Okiku, la talentuosa Haru Kuroki. La ragazza insegna a leggere e scrivere in un tempio vicino casa e vive con il padre, un samurai decaduto e oramai allo sbando. Le feci e la brodaglia che esonda dalle fogne a cielo aperto sono l’elemento che permea, quasi letteralmente, ogni fotogramma del film, in una storia che è raccontata e divisa in piccoli capitoli che vanno dall’estate del 1858 alla primavera del 1861. Periodo durante il quale il paese stava sprofondando lentamente nel caos e in un cui vigeva ancora, in maniera molto forte, la divisione delle classi. I due giovani, sorta di «merdaioli» del periodo feudale giapponese, sono trattati come paria, denigrati e presi in giro, ci sono molti momenti di comicità scatologica nel film, ma nonostante questo, Okiku si innamora di uno dei due.

LE FECI sembrano essere l’elemento che connette tutte le classi sociali, non soltanto perché tutti le producono, samurai, commercianti e contadini, ma anche perché simboleggiano il ciclo della materia che si disfa e si rinnova di continuo. Il lavoro in fase di regia e di scrittura è molto controllato e fine, il bianco e nero non è usato per liricizzare le tematiche, anzi le immagini donano una sorta di sobrietà e di naturalezza agli eventi rappresentati nel film. Si tratta di un mondo che, in apparenza, gira e funziona così come il susseguirsi delle stagioni, ma da cui i tre verso la fine del film riusciranno, forse, ad evadere, immaginandone un altro possibile. I due giovani capiscono di essere dentro ad un destino che non possono cambiare, l’appartenenza ad una classe «inferiore», ma allo stesso tempo si rendono conto, come dice uno dei due in una scena, che «senza di noi, Edo è solo un grosso mucchio di merda».
La rottura di questo «mondo» che avviene anche grazie all’incontro e alla grazia di Okiku è messa sullo schermo in maniera indiretta e quasi accennata. Ma proprio per questo si insinua molto più in profondità e risuona e preconizza anche i cambiamenti che di lì a poco avrebbero sconvolto l’equilibrio della società giapponese. Il periodo Meiji con tutti i cambiamenti politici e sociali che portò nell’arcipelago comincia ufficialmente nel 1868.

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