Se si volesse riassumere la filosofia di Sadie Plant con una sola parola questa potrebbe essere: trame. Trame sia nel senso di rendere giustizia alle reti autorganizzate e prive di centro su cui si diramano i segni e le cose, sia nei termini di un lavoro genealogico-investigativo volto a portare alla luce l’occultata complessità rizomatica del reale.

Sadie Plant è stata la co-fondatrice della leggendaria Cybernetic Culture Research Unit, attiva negli anni ’90 presso l’Università di Warwick in Gran Bretagna, i cui frutti teorici, come la luce tardiva di una stella lontana, cominciano ora a brillare anche in Italia – in pochi anni, sono stati tradotti testi di Mark Fisher, Nick Land e Kodwo Eshun. Il primo saggio di Plant a giungere fino a noi (nel 2021, edizione originale del 1997), tradotto da Assunta Martinese e curato da Ippolita, è stato Zero, uno. Donne digitali e tecnocultura (Luiss University Press). Il secondo, Scritti sulla droga (pp. 282, 22 euro), è comparso sugli schermi radar della cultura nostrana qualche settimana fa (edizione originale del 1999) per i tipi di Nero, grazie all’accurata traduzione di Clara Ciccioni.

«NESSUN ARGOMENTO è regolare e semplice come si credeva», scriveva Plant in Zero, uno. E questo vale anche per la droga, o meglio, per le trame intessute dalle droghe e sulle droghe («Queste sostanze non potrebbero essere più diverse»). Esattamente come era valso nel libro precedente per le trame del codice delle macchine digitali che Plant ha ritramato a partire dal lavoro invisibilizzato di Ada Lovelace fino ai «fili dei ragni» e alle «reti delle attività batteriche» passando per «le schede perforate del telaio Jacquard» e le «matasse di fili delle tessitrici». È questa operazione di scavo che nelle sapienti mani della filosofa britannica diventa un’operazione di inseguimento di ciò che ci circonda che si costruisce, sostanza dopo sostanza, esistenza dopo esistenza, pagina dopo pagina, «un’opera di ingegneria di precisione, una complessa rete di dettagli meticolosi e analisi elaborate», per usare la parole che la stessa Plant dedica a La tentazione di Sant’Antonio di Flaubert.

NELLO SPAZIO COMPLESSO e ripiegato di Scritti sulla droga, assecondando un moto spiralare, Sadie Plant si mette sulle tracce dei flussi individuali e planetari delle droghe, dagli oppiacei dell’Ottocento di de Quincey fino all’Mdma del cyberpunk e alle politiche proibizionistiche attuali, portando «fino in fondo ogni connessione» e mettendo in scacco «le linee rette della narrativa occidentale».
Senza negare i rischi che i paradisi artificiali portano con sé, anzi sottolineando ripetutamente e con forza la potenziale letalità delle sostanze con cui costruisce la sua trama, Plant mostra che gli scritti sulla droga sono scritti sotto droga da parte di «una creatura artificiale composta da uomo e droga», che la «nostra» storia materiale e simbolica è stata scritta, che piaccia o meno, anche dalle droghe («una lunga catena di continuità chimiche»), la cui diffusione/proibizione, in circuiti di feedback retroattivi, è stata facilitata/ostacolata proprio dal clima che esse stesse hanno contribuito a materializzare.

IL MESSAGGIO che esce prepotente dalla trama di Plant è squisitamente filosofico e consiste nella «scoperta» delle trame tessute da una corporeità diffusa e radicalmente anti-antropocentrica: «Le droghe fanno emergere le complessità di una vasta economia chimica, una rete di reazioni e sintesi che collegano umani e animali ai più innocenti processi molecolari delle piante».
Le sostanze psicotrope sono tali proprio perché possono interagire con la chimica del cervello nel momento stesso in cui rendono sempre «più difficile distinguere tra corpo e cervello». Tanto che è possibile pensare al lavoro platonico di svalutazione del corpo come al «teatro della prima guerra alla droga» e alla droga non come a «un mezzo per fuggire dal corpo ma a un modo per far sì che il corpo sfugga alle strutture e ai confini che gli danno ordine».
È in questo incessante oltrepassamento di confini (tra la vita e la morte, naturale e artificiale, corpo e spirito, reale e immaginario, vero e falso, legale e illegale, tra gli Stati, i generi e le specie, tra «un sé discreto e centrato» e «una complessa rete di comunicazioni»…) che si comprende, in un ritornello che attraversa tutta la produzione plantiana, che «nulla è semplice e stabile come si pensava».