E così il Jobs Act ha avuto ieri il suo battesimo di fuoco, alla Commissione Lavoro del Senato. Il presidente Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro nel governo Berlusconi e uno dei padri della legge 30, fiero nemico dell’articolo 18, è deciso a ottenere il massimo: ovvero l’intera riscrittura dello Statuto dei lavoratori, facendo sparire – se possibile irreversibilmente – la sua “bestia nera”, ovvero la tutela dai licenziamenti per ingiusta causa.

Per questo ieri Sacconi ha lanciato un’”esca” al Pd, l’alleato dell’Ncd da convincere: facciamo costare meno i contratti a tempo indeterminato, in modo da indurre così le imprese ad accenderne di più. Principio di per sé condivisibile, auspicato dallo stesso centro-sinistra, che potrebbe rappresentare una buona merce di scambio con l’addio all’articolo 18.

«C’è un nodo politico da sciogliere, che riguarda la riforma dello Statuto lavoratori, di cui ha parlato Renzi – ha spiegato ieri Sacconi – Quel testo recepisce ciò che leggi e contratti hanno prodotto negli anni Cinquanta e Sessanta. È giunta l’ora di cambiarlo». In particolare, per l’ex ministro vanno modificate le norme sul tempo indeterminato, che «deve rimanere il modello principe, ma va reso più conveniente per i datori di lavoro».

Si deve fare una delega «ampia», secondo Sacconi, «che riguardi tutto lo Statuto: e quindi anche il recesso, le mansioni, il controllo a distanza». Insomma, l’Ncd vuole mettere mano su temi delicatissimi.

Ieri pomeriggio i lavori si sono fermati in attesa del parere della commissione Bilancio. «Confido che giovedì prossimo potremo varare gli articoli diversi da quello dedicato ai rapporti di lavoro. La settimana successiva dovremo concludere l’esame per consegnare il testo all’aula attorno a giovedì 18», ha concluso Sacconi.

Ma nel Pd l’idea di cancellare l’articolo 18, come vorrebbero l’Ncd e Pietro Ichino (che sostituirebbe la reintegra obbligatoria con un risarcimento monetario) non piace: il Partito democratico, o almeno una sua parte, sarebbe più propenso, in accordo con la Cgil, a posporre l’applicazione dell’articolo 18 (reintegra inclusa) alla fine del terzo anno del contratto, come da proposta sulle «tutele crescenti» degli studiosi Boeri e Garibaldi.

Renzi due giorni fa, sul Sole 24 Ore, aveva aperto alla possibilità che si eliminasse la reintegra obbligatoria, facendo capire di propendere per la “via” di Ichino.

Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, spiega di essere «contrario al fatto che si possa cancellare l’articolo 18. Sarebbe un harakiri per il governo e alimenterebbe il conflitto sociale». «Se qualcuno pensa che al governo ci sia ancora il centrodestra, sbaglia indirizzo. Sullo Statuto dei lavoratori si possono ipotizzare modifiche mirate: finora la destra ha messo l’accento su controlli a distanza e demansionamento dei lavoratori, argomenti di non facile soluzione; io ritengo, invece, che si possa modificare l’articolo 19 dello Statuto allineandolo alla recente intesa tra le parti sociali su rappresentanza e rappresentatività».