Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha espulso tre alti funzionari dell’ambasciata Usa, di stanza a Caracas: «Hanno 48 ore per andarsene. Non mi importa quali misure potrà prendere il governo di Barack Obama. Yankees go home, fuori dal Venezuela», ha detto durante una cerimonia militare nello stato di Falcon. I tre sono Kelly Keiderling, incaricata d’affari e massima autorità dell’ambasciata, David Mutt, funzionario consolare, e Elizabeth Hoffman, che lavorava nella sezione politica della delegazione diplomatica. L’accusa è quella di essersi incontrati con l’estrema destra venezuelana «per finanziarla e organizzare azioni di sabotaggio del sistema elettrico e dell’economia del paese».

Le prove sono in un video mostrato da Vtv, girato il 27 settembre. Si vedono i tre uscire dalla sede della ong Sumate, nello stato di Bolivar, salire in macchina diretti all’aeroporto di Puerto Ordaz e prendere l’aereo per Caracas. Riunioni per destabilizzare le elezioni municipali dell’8 dicembre, sostiene il governo. Incontri analoghi – ha precisato il ministro degli Esteri, Elias Jaua – sono avvenuti anche nello stato Amazonas, con il governatore Liborio Guaruya, «elemento cardine della cospirazione», per organizzare «ribellioni indigene e destabilizzare la democrazia». Nel municipio di Ciudad Bolivar – ha aggiunto – i funzionari si sono riuniti con leader sindacali della destra «per incentivare e alimentare la paralisi della siderurgica Sidor e di altre imprese importanti della regione». Informazioni, ha aggiunto il ministro, che saranno inviate al Segretario di stato Usa, John Kerry.
Il Dipartimento di stato nordamericano ha smentito categoricamente qualunque coinvolgimento. E con ogni probabilità rispedirà a Caracas anche l’incaricato d’affari della Repubblica bolivariana negli Stati Uniti, Calixto Ortega, nominato quattro mesi fa. Per l’opposizione venezuelana, si tratta dei soliti allarmi per nascondere i problemi del paese. Lo ha ribadito anche la settimana scorsa, quando Maduro ha disertato l’Assemblea Onu affermando di essere venuto a conoscenza di «gravi provocazioni» organizzate ai suoi danni.

Fatto è che Sumate, gestita dalla deputata di opposizione Maria Corina Machado, è finanziata dalla Fondazione nazionale per la democrazia (Ned). Nel 2005, la Corte suprema di giustizia ha messo sotto inchiesta l’organizzazione, che conta circa 30.000 aderenti, per i fondi ricevuti dal Pentagono. Sumate è stata fondata nel 2002 per raccogliere le firme e organizzare il referendum revocatorio contro l’allora presidente Hugo Chávez, scomparso il 5 marzo del 2013. Nel 2004, Chávez ha vinto il referendum con oltre il 60% dei voti, ma Sumate non ha riconosciuto il risultato. Da allora, Machado e la destra continuano ad applicare le direttive di Washington per far tornare l’orologio del paese indietro di 14 anni: ai governi «modello Fmi».

Ed è un fatto anche che Kelly Keiderling abbia un pedigree diplomatico di tipo particolare. Nel numero di agosto di Le Monde diplomatique/ilmanifesto ce ne ha parlato lo scrittore cubano Raul Antonio Capote, che l’ha conosciuta bene quand’era prima Segretaria di stampa e cultura della Sina, la Sezione d’Interesse degli Usa all’Avana: «Un ruolo quasi sempre ricoperto da agenti di intelligence. Kelly Proveniva da una famiglia della Cia. Ha creduto di manipolarmi facendo regali ai miei figli. Ci siamo frequentati molto», ci ha raccontato Capote, agente cubano infiltrato per anni nella Cia. Dopo l’ennesimo piano destabilizzante, il governo cubano decise di “bruciare” alcuni suoi agenti, fra cui Capote, e mostrò prove inoppugnabili delle nuove strategie destabilizzanti usate dalle agenzie Usa in Sudamerica.

Ingerenze messe in luce anche dal Datagate, lo scandalo delle intercettazioni illegali targato Nsa e rivelato dall’ex consulente Cia Edward Snowden. Il Venezuela e il suo petrolio, di cui gli Usa sono il primo cliente, non hanno mai smesso di essere oggetto d’attenzione da parte del Pentagono, che ogni anno rinnova lauti finanziamenti a certe «ong per i diritti umani». Per questo, i paesi socialisti che si ritrovano nell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) – i cui presidenti si riuniscono oggi in Bolivia per discutere anche di questo nuovo episodio -, hanno cercato di adottare un atteggiamento comune. Il 1 maggio scorso, il presidente boliviano, Evo Morales, ha annunciato l’espulsione dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (Usaid), che ora ha chiuso i battenti. Il suo omologo ecuadoriano, Rafael Correa, intervenuto nell’ultima giornata dell’Assemblea Onu per denunciare «le mani sporche della Chevron», ha ricordato con i giornalisti il golpe tentato contro di lui il 30 settembre di 3 anni fa: «La regione – ha detto – non tollera più i colpi di stato tradizionali, e allora si usa qualunque pretesto per destabilizzare, dal separatismo alla ribellione, al massacro».