Una lavoratrice ha il coraggio di fare causa alla Ryanair. Accade in Norvegia, dove Alessandra Cocca – hostess italiana – insieme a una collega porta la compagnia irlandese regina delle low cost davanti ai giudici: «Ci schiavizza», ha dichiarato ai media scandinavi, e ieri la notizia è stata rilanciata dal Sole24Ore.

Di coraggio, si tratta, perché la multinazionale diretta dal potente ed eclettico Michael O’Leary è assolutamente allergica alle vertenze di lavoro e al sindacato, tanto che i dipendenti – per paura di essere licenziati – devono iscriversi alle organizzazioni che li tutelano senza poterlo dichiarare.
Ma le cose potrebbero presto cambiare. Perché negli ultimi mesi è mutato il quadro legislativo, e perché gli stessi sindacati – almeno in Italia – si stanno muovendo per farsi finalmente riconoscere pienamente. Ma andiamo per ordine, e vediamo innanzitutto cosa contesta la dipendente italiana alla compagnia.
Le due hostess che hanno fatto causa, scrive il Sole, «avrebbero dovuto pagare di tasca propria per la formazione, correndo un continuo rischio di licenziamento senza giusta causa e preavviso. Sarebbe inoltre mancata la copertura in caso di malattia e la società avrebbe fatto ricorso a intermediari in Irlanda per ottimizzare il profilo fiscale». Ancora: Ryanair avrebbe «infranto alcune procedure di sicurezza» e mancato «di pagare alcuni benefit promessi inizialmente».

«Questa notizia parla di un disagio che c’è all’interno della compagnia – commenta Gianni Platania, della Filt Cgil nazionale – E conferma la necessità di arrivare a un confronto, che peraltro abbiamo più volte chiesto alla Ryanair». Il sindacato ha scritto lettere su lettere alla multinazionale, e due anni fa la Cgil era riuscita ad avere addirittura un delegato a Pisa: ma un mese fa questo lavoratore si è dimesso, e oggi non esistono altri iscritti. Ryanair ha risposto prima gentilmente, poi via via sempre più bruscamente, che se i lavoratori vogliono, possono iscriversi al sindacato, ma che questo non comporta per lei l’obbligo di negoziare. D’altronde, l’unico steward iscritto due anni fa alla Cgil, non aveva la trattenuta sindacale, essendo il suo contratto registrato in Irlanda (come quello di tutti i dipendenti Ryanair), e quindi per O’Leary era come se si fosse iscritto a una bocciofila o a un circolo di collezionisti.

Il problema è che appunto Ryanair stipula ai singoli lavoratori contratti irlandesi, con tasse e contributi inferiori a quelli italiani, e che non applica un contratto, ma solo un regolamento unilaterale. Gli stipendi netti dei dipendenti (tra gli 800 e i 1000 in Italia, ma le cifre sono tenute segrete) si aggirano tra i 1200 e i 1500 euro, quindi molto inferiori (anche del 40%) rispetto a quelli di compagnie come Alitalia o Meridiana. Da qui i grossi risparmi che permettono tariffe low.

«Attendiamo una sentenza per una causa per articolo 28 dal tribunale di Velletri – spiega Francesco Persi, Fit Cisl nazionale – È importante, perché fisserà la competenza territoriale in Italia». Se si unisce l’effetto di questa causa, alla direttiva Ue e al decreto Salva-Italia, che hanno imposto l’anno scorso alle aziende che hanno proprie basi in un Paese, di pagare le tasse e di assumere in quello stesso Paese, si chiude il cerchio. O’Leary ha già dovuto accettare di pagare le tasse ai paesi in cui fa base, e il sindacato, dal canto suo, potrà chiedere ai giudici di applicare il contratto nazionale di settore, una volta siglato: allora i sindacati dovranno essere riconosciuti, e i lavoratori potranno iscriversi.