Venerato in particolare dai registi della Nuova Hollywood che si sono identificati istintivamente con l’irriverente modernità e il contrappunto lievemente ironico che le sue colonne sonore hanno portato alla sontuosa tradizione melodica dei compositori americani, e con la capacità delle sue note e dei suoi «rumori» di raccontare i grandi spazi ma anche le contraddizioni del western (Tiomkin per la generazione della controcultura), Morricone negli States non è venuto fino al 2007.

QUELLA TOURNÉE, iniziata al Radio City Music Hall di New York, e che si sarebbe conclusa sul palco delle cerimonia degli Oscar, con Clint Eastwood che gli consegnava la statuetta alla carriera, è stata storica. Biglietti esauriti immediatamente, festival dei «suoi» film organizzati nelle maggiori cineteche. Per l’occasione, si era spalancata davanti a lui anche la great hall delle Nazioni Unite, dove era stato indetto un concerto in omaggio al nuovo segretario generale Ban Ki-moon. I movimenti rapidi e leggeri, il piglio d’acciaio, Morricone -per nulla intimidito dalla natura del luogo, il pubblico che lo circondava a 360 gradi, abbracciandolo virtualmente – aveva infilato uno dopo l’altro molti dei suoi greatest hits, in sequenza serrata, quasi senza fermarsi. L’unica pausa (un fugace momento di commozione?) quella accordata al grandissimo Eli Wallach che, fragile, e camminando già molto lentamente, lo ha raggiunto sul palco, nell’ovazione generale.

Tuco, «il brutto» era l’ocarina aveva spiegato Morricone al critico musicale del «New York Times» John Pareles, in un’intervista concessa a Roma prima del viaggio americano. «Volevo tre timbri differenti -il buono, il brutto e il cattivo. Un flauto d’argento dal suono dolce è il buono, l’ocarina è il brutto. Per il cattivo la voce di due uomini che cantano stonatamente insieme. Ma non dovrei rivelarle queste cose. Sono segreti di famiglia» aveva detto Morricone al giornalista parlando di quella che in Usa rimane la più conosciuta delle sue colonne sonore, e il cui attacco è stato foneticamente parafrasato da più giornali Usa dopo l’annuncio della morte del compositore –«ah-ee-ah-ee-ah» per il «Washington Post».

A ROMA era andato a trovarlo anche John Carpenter -che si era sposato con Adrienne Barbeau sulle note di C’era una volta il West – per convincerlo a scrivere la colonna sonora di The Thing (La cosa). Nelle interviste, Carpenter ha raccontato la visita al palazzo di Morricone come un sogno, la finestra affacciata su Roma, che il regista di Halloween vedeva per la prima volta; anche se il frutto di quella loro collaborazione si limita al tema iniziale di The Thing e a poco altro. Le cose che il suo idolo aveva scritto per il film erano troppo complicate, per il minimalismo (anche musicale) carpenteriano.

COME CARPENTER, De Palma (The Untouchables, Gli intoccabili), Warren Beatty (Love Affair), Malick (Days of Heaven, I giorni del cielo), Barry Levinson (Bugsy), Mike Nichols, Oliver Stone, e Roland Joffe (Mission) hanno portato Morricone ad avventurarsi in generi diversi dal western. E, se qui la Trilogia del dollaro è forse l’opera per cui lo si riconosce di più, il suo sound è parte dell’epopea Usa come raccontata da Leone in C’era una volta il West e nel capolavoro meno visto C’era una volta in America. Come la popolarità dei suoi western non leoniani, in particolare quelli di Corbucci. È un sound di cui Quentin Tarantino – che ha paragonato Morricone a Beethoven e Mozart- si è apertamente «appropriato» più volte, per poi chiedere a Morricone di scrivere la colonna sonora di The Hateful Eight, il film per cui avrebbe vinto il suo primo Oscar (non alla carriera). In quella colonna sonora è finito anche uno dei pezzi che Carpenter non aveva voluto usare in The Thing. «Quentin dice che il film è un western. Per me assolutamente no. Volevo fare qualcosa di completamente diverso dei western che ho fatto in passato» ha dichiarato Morricone a «Rolling Ston