Come promesso durante la campagna elettorale, la giunta di destra delle Marche ha deciso di vietare l’uso della pillola RU 486 nei consultori. Ad annunciarlo, in un consiglio regionale cominciato con l’assenza di presidente e assessori durante le celebrazioni della Giornata della Memoria, è stata l’assessora leghista alle Pari Opportunità Giorgia Latini, rispondendo a una mozione – respinta – presentata dalla consigliera del Pd Manuela Bora in cui si chiedeva la piena applicazione della legge 194 e delle linee guida del ministero della Salute in materia di interruzione di gravidanza: «Bisogna garantire una percentuale sufficiente di personale sanitario non obiettore di coscienza».

Negli ospedali marchigiani, infatti, i medici obiettori di coscienza sono la stragrande maggioranza: 90% a Fermo, 82% ad Ascoli, 69% a Macerata, 67% a Pesaro e Ancona. Non è una regione per donne, evidentemente, anche se va sottolineato che la situazione è questa da oltre un decennio e nemmeno le passate amministrazioni di centrosinistra hanno mai pensato di mettere mano alla questione per rendere più agevole l’esercizio di quello che è a tutti gli effetti un diritto acquisito.

Il dibattito in aula, comunque, è stato se possibile ancora più surreale delle conclusioni a cui è giunto. «Le linee guida del ministero non sono una fonte di diritto», ha detto Jessica Marcozzi di Forza Italia. Da Fratelli d’Italia, il capogruppo Carlo Ciccioli ha definito quella per l’aborto come «una battaglia di retroguardia che aveva senso negli anni ’60» perché «oggi la vera battaglia da fare è per la natalità». E ancora: «Non posso accettare che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie». L’assessore leghista alla Sanità, l’ex poliziotto Filippo Saltamartini, ha chiarito ulteriormente il concetto spiegando che «tutta l’Europa ha aperto alla RU 486, ma non dimentichiamo che l’Europa ha negato le sue radici giudaico-cristiane, preferendo quelle filosofiche greche della laicità spinta».

Sconcerto da parte delle opposizioni, dentro e fuori il consiglio. «La maggioranza usa e abusa strumentalmente delle vite delle donne, pronte per partorire figli con qualche spicciolo di bonus come se fossero delle incubatrici – si legge in una nota di Non Una di Meno -. I tagli hanno falcidiato diversi ospedali e punti nascita, quindi di quale natalità e servizi stiamo parlando?». In tutto questo, l’amministrazione di Francesco Acquaroli ha intenzione di spingersi sempre più in là sul fronte delle politiche, per così dire, familiari, con l’idea lanciata da Saltamartini di «aprire anche ad associazioni private per il diritto alla vita».

Nelle Marche, il principale esponente del mondo pro life si chiama Roberto Festa: uno che la settimana scorsa si è presentato in Regione in compagnia di due bambini e ha consegnato a Emanuela Bora 1450 pannolini, «uno per ogni bambino abortito nel 2019», perché «chi sostiene che l’aborto volontario sia un diritto ha le mani che grondano sangue innocente, forse più di chi pratica questo inumano delitto». La regione che in passato si era autoproclamata «plurale» sta ormai sprofondando in un incubo distopico a metà tra il fanatismo religioso e il freak show trumpiano. Non è un caso, d’altra parte, che un paio di settimane fa la giunta abbia interpretato come una minaccia di morte un cartello esposto da un gruppo di studenti in cui si citava il passaggio di una lezione di Alessandro Barbero. Vista l’aria che tira, la paura della storia è quantomeno comprensibile.