Nelle Rsa (Residenze Sanitarie Assistenziali) lombarde osserviamo un «evidente sproporzione di morti rispetto allo stesso periodo degli scorsi anni», sostiene Valeria Negrini, portavoce del Forum Terzo Settore Lombardia. Eppure, per effetto di una delibera regionale emessa un mese fa circa, queste strutture potrebbero accogliere i pazienti Covid-19 per le cure post ospedaliere. Una prospettiva alla quale si oppongono gli operatori delle Rsa.

Secondo i dati censiti al 2018 nella regione ci sono 688 Rsa, per 63480 posti letto. 60 mila sono accreditati direttamente con la Regione. Meno chiaro il dato sui lavoratori attivi in queste strutture, parliamo comunque di un numero variabile tra 40 e 50 mila lavoratori. «Secondo nostre stime, il tasso di mortalità in queste strutture, ora al tempo del Covid-19, è almeno del 10%», dice sempre Negrini. E proprio le Rsa sono infatti tra i luoghi dove si sta morendo di più in Lombardia e dove il virus potrebbe trovare diffusori inconsapevoli. I lavoratori delle Rsa non sono ancora sottoposti a tamponi in modo sistematico, nonostante nella sola provincia di Bergamo, in un solo mese, sono morte oltre 600 persone sulle 6400 ospitate nelle strutture.

Il dato è altissimo non solo nelle province di Brescia e Bergamo, ma in tutta la regione. E non solo. 14 sindaci del sud-est milanese stanno affrontando la drammatica situazione nelle Rsa di Mediglia e per questo hanno scritto una lettera alla Residenza, ad Ats (Agenzia per la tutela della salute) e alla Regione Lombardia.

«Abbiamo esposto la nostra preoccupazione per l’alto numero di morti, così come per le molte persone che lavorando all’interno della struttura possono diventare propagatori del virus», dice Andrea Checchi, sindaco di San Donato Milanese, «abbiamo chiesto di indicarci la provenienza del personale, così come l’elenco dei fornitori entrati ed usciti dalla struttura dal 23 febbraio e delle persone che sono andate a trovare i parenti». Continua il sindaco: «Ci ha risposto solo la direzione della Residenza dicendoci che erano stati rispettati tutti i protocolli e che tutto era sotto controllo. Noi abbiamo scritto la lettera il 23 marzo ed i morti erano 53 già, oggi sono 64» su circa 150 ospiti. «Stiamo per scrivere una nuova lettera ad Ats e Regione anche la sanificazione della struttura», conclude Checchi.

Almeno due parenti di ospiti a Mediglia hanno contratto il Covid-19, e uno è morto. Le Rsa sono oggetto d’indagine anche per il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Nel bollettino del 1 aprile è presentata una parte della ricerca, a cura dell’Istituto superiore di sanità, su 2.556 Rsa di diverse regioni. Ad ora i risultati sono su 236, per un totale di 18.877 ospiti. Conteggiati 1.845 decessi, con un tasso di mortalità del 9,4%, con il picco del 19,2% in Lombardia. Certi di morte per Covid-19 sono in 57, altri 666 deceduti mostravano sintomi d’influenza. In assenza di tamponi il dato è chiaramente impreciso ma il Garante ricorda «che la tipologia delle persone ospiti e la loro specifica vulnerabilità, dovuta in alcuni casi a una pluralità di altre patologie e in quasi tutti a una debolezza complessiva relativa all’età, rende la distinzione tra le due categorie piuttosto labile».

Nonostante il drammatico quadro, e le proteste di diversi sindacati oltre che operatori di categoria, la Regione Lombardia non ha ritirato la delibera del 9 marzo che prevede che le Rsa possano essere strutture adatte ad accogliere pazienti Covid per cure post ospedaliere. A Crema, la Rsa locale, nonostante ad oggi abbia affrontato la morte di una sessantina di ospiti (in tutto il 2019 i morti furono 58) e la malattia di diversi dipendenti, «sarebbe tra le prime strutture, nonostante le proteste di partiti e sindacati locali, a mettere a disposizione, come da delibera, un padiglione dedicato per curare 20 pazienti», dice il cremasco Franco Bordo, ex deputato Sel.