Professor Andrea Roventini, docente allla Sant’Anna di Pisa e nel 2018 ministro dell’economia in pectore del M5s: la proposta di patrimoniale di Leu e sinistra Pd (Zingaretti è contrario) colpisce il ceto medio come sostengono la destra e molti commentatori sui grandi giornali?
L’importante è iniziare a discutere di eventuali imposte sulla ricchezza come si fa negli altri paesi perchè in Italia è un tabù anche solo parlarne. Per esempio, ne discuterei assieme ad una tassa di successione. L’imposta patrimoniale comunque si può calibrare: se il problema è il limite di 500mila euro, si può per esempio escludere la prima casa dal computo o fissare soglie o aliquote diverse. Non introdurre una patrimoniale per non colpire il ceto medio è un falso problema, perché la si può progettare per colpire il 5% o il 10% dei cittadini più ricchi, redistribuendo le risorse al resto dei contribuenti. Purtroppo mi sembra che ci siano riflessi pavloviani nei politici: dicono no a prescindere alla patrimoniale senza neppure aprire un dibattito serio basato sui dati.

L’economista Andrea Roventini

Ma in Italia esiste una anagrafe patrimoniale?
Non proprio, per adesso esiste un’anagrafe dei conti correnti e dei rapporti patrimoniali che è purtroppo utilizzabile solo per analisi di rischio, non per analisi tributarie. Ma le reazioni che ho visto in questi giorni mi hanno un po’ spaventato.

Spaventato? Addirittura…
Sono spaventato da come in Italia siamo scollegati dal resto del mondo su certi temi. La settimana scorsa sulla disuguaglianza di genere, oggi con la patrimoniale. Siamo indietro di decenni rispetto al dibattito mondiale. Per esempio, Elisabeth Warren, che non è certo una socialista, si è candidata alla presidenza negli Stati Uniti proponendo un’imposta patrimoniale sulle grandi fortune. Non capisco perché da noi non ne se possa neppure parlare laicamente.

Dal M5s, a parte l’europarlamentare Ignazio Corrao, sono tutti contrari. O, per la sua parte sinistra, silenti e imbarazzati.
Premetto che non ho rapporti organici con il M5s. Penso che anche la posizione del Movimento sia frutto della narrativa che si è consolidata nella politica italiana per cui qualsiasi imposta sulla ricchezza sia sbagliata. Fino agli ultimi decenni, il tema della disuguaglianza non era al centro della teoria economica e la patrimoniale considerata inefficiente, mentre si favoriva l’imposizione indiretta. Questo è il quadro della teoria economica che ha influenzato il dibattito. Poi c’è la politica italiana che ha seguito questo flusso: abolire l’Ici come fece Berlusconi fu una delle scelte più scellerate per il nostro paese perché avvenne appena avevamo incassato i dividendi ottenuti con l’ingresso dell’euro. Invece di utilizzare il risparmio sui tassi di interesse per alimentare la crescita, si preferì sperperarli abolendo l’imposizione sugli immobili. Il governo Monti reintrodusse giustamente un’imposta sugli immobili, ma purtroppo il governo Renzi la abolì nuovamente. C’è un filo conduttore da Berlusconi a Renzi, la cosiddetta Terza Via che ha strappato alla sinistra le battaglie sulla giustizia sociale.

Ora però la patrimoniale e la lotta alle diseguaglianze sono tornate importanti in tutto il mondo.
Sì, negli ultimi anni teoria e analisi economica mettono di nuovo al centro la lotta alla disuglianza con i lavori di Piketty, Zucman, Saez e Milanovic. Inoltre, alcuni paesi hanno già una patrimoniale: prima della Spagna l’hanno adottata la Norvegia e la Svizzera, non certo paesi periferici. Purtroppo, per una certa sinistra c’è una subalternità culturale: si è perso l’orgoglio di rivendicare il tema della giustizia sociale. Il M5s, secondo me, ha avuto il grande merito di riproporre la lotta alla povertà con il Reddito di cittadianza ma poi non ha approfondito il tema della disuguaglianza. E poi importante come vengono presentate le riforme: la patrimoniale non colpisce i patrimoni di ogni italiano, fa solo pagare più tasse al 5% più ricco della popolazione. Ribaltando la comunicazione, credo che il 95% della popolazione italiana sarebbe contenta di beneficiare di servizi pubblici finanziati con la patrimoniale o di non pagare bolli o piccole imposte di natura patrimoniale.

È probabile che il governo dica: stiamo per fare la riforma fiscale, riparliamone fra qualche mese. È un controsenso fare la patrimoniale ora?
No. Ma c’è una questione di opportunità. Anche per i problemi di elusione ed evasione e spostamento dei capitali, un’imposta patrimoniale ha meno impatto sul gettito e sulla diseguaglianza rispetto ad una riforma generale dell’Irpef. Il vero problema dell’Italia è che l’Irpef ormai è un pasticcio: è fintamente progressiva perché gli scaglioni più alti sono troppo vicini e i vari regimi forfettari ne riducono la base imponibile. Ormai la pagano solo i lavoratori dipendenti e pensionati. La riforma deve puntare ad allargare la base imponibile e a renderla più progressiva, togliendo detrazioni e regimi forfettari e aumentando la progressività, come il governo ha annunciato di fare nelle premesse in legge di bilancio. Comunque, riforma fiscale e patrimoniale possono percorrere binari paralleli, anche perché sul tema della riforma fiscale il confornto è meno incandescente.

Lei prima accennava l’idea di reintrodurre una tassa di successione. Il Forum Disuguaglianze di Fabrizio Barca propone di dare così 15 mila euro a ogni diciottenne.
Sì, reintrodurre la tassa di successione è una priorità. Come proponeva l’economista Atkinson, il Forum disuguaglianze pensa di introdurre un’imposta di successione per destinarne i proventi ai giovani per ridurre la disuguaglianza intergenerazione. Analogamente, la patrimoniale potrebbe essere accettata dal ceto medio se si specifica che le risorse avranno uno scopo preciso, per esempio finanziare l’istruzione e la sanità. Spiegare agli italiani che le risorse della patrimoniale non vanno nel solito calderone può convincerli della bontà della riforma. Per questo credo che accoppiare un’imposta patrimoniale con una di successione possa dare più forza alla proposta.