A mezzanotte di giovedì il San Carlo era fuori dal fondo salva lirici della legge «Valore cultura». Il cda del Massimo napoletano è andato avanti per tutto il pomeriggio fino a notte. I lavoratori minacciavano di occupare il teatro, assiepati fuori la porta della sala del soprintendente. Nessun pronunciamento ma una rottura: quattro membri del consiglio su sei hanno dato le dimissioni per non mettere in minoranza il sindaco (e presidente della fondazione) Luigi De Magistris, unico a non voler aderire al fondo. Con il primo cittadino era rimasto solo Andrea Patroni Griffi (in quota del Comune) che si è dimesso ieri. Avevano già staccato la spina il governatore Stefano Caldoro, l’ex presidente della provincia Luigi Cesaro, Maurizio Madaloni (presidente della Camera di Commercio) e Riccardo Villari in quota Mibact.

Il ministero ha incluso il San Carlo tra gli enti destinatari del fondo da 75milioni da ripartire tra le fondazioni in crisi. Ai teatri il compito di presentare un piano industriale in cui inserire il taglio del salario accessorio (meno 35% in busta paga), una riduzione del personale tecnico-amministrativo fino al 50% e un aumento della produttività complessiva. A Napoli sarebbe spettata una quota inferiore a 10milioni (al ministero sono arrivate giovedì sette richieste) con cui risolvere i problemi di liquidità ma anche acquistare all’esterno i servizi impossibili da produrre in proprio a causa dei tagli. Per scongiurare l’adesione, il comune aveva messo sul tavolo una delibera di giunta con l’impegno a ricapitalizzare la fondazione cedendo immobili per un valore di 20 milioni che potevano salire a 40. Ora che il cda è dimissionario ci sarebbero 40 giorni per ricomporre il consiglio. Visto però il disaccordo tra i soci, l’esito più probabile sarà l’arrivo di un commissario ad acta dal ministero con il compito di traghettare il San Carlo verso il fondo salva lirici. Oppure il ministro potrebbe direttamente commissariare la struttura perché non ha aderito al fondo nonostante sia sottocapitalizzata. «Insieme agli altri soci – insisteva ieri Caldoro – ho proposto di aderire inserendo nel piano industriale due prescrizioni a difesa dei lavoratori garantendo i livelli occupazionali e salariali. Su questi due temi valeva la pena fare una giusta rivendicazione con il governo». Al governatore ha risposto il sindaco: «Li invito a rientrare: non si può abbandonare il San Carlo. Mi batterò per una svolta nel teatro: propongo un azzeramento dei livelli dirigenziali e verticistici, i protagonisti devono essere i lavoratori. Se qualcuno pensa di commissariare il San Carlo se la vedrà veramente brutta».

A pesare sui conti sono i debiti che si trascinano dalla stagione chiusa con il commissariamento del Lirico affidato a Salvo Nastasi, potente direttore generali del Mibact, che nel 2011 lo riconsegnò alla gestione ordinaria ancora appesantito da 20milioni di euro di debiti con l’Enpals da coprire nel tempo record di quattro anni. Una macigno che ha aperto la porta a un nuovo commissariamento. Uno strumento utile alle intenzioni del ministero: le fondazioni lirico-sinfoniche in Italia sono 14, troppe da finanziare, e allora bisogna ridimensionarne alcune per sostenerne altre. Al San Carlo, il più antico d’Europa, è stato riservato un posto in serie B. La battaglia evidentemente è stata persa in parlamento quando il decreto è stato convertito in legge.